Lo hanno trovato a vagare spaesato nella zona di al Dyabya, a sud di Damasco: un cittadino americano con folta barba. Per un momento si è pensato fosse Austin Tice, il giornalista statunitense scomparso in Siria nel 2012. Alcuni media arabi hanno persino dato l’annuncio, ma si trattava di un’altra persona: Travis Timmerman, 29 anni, rimasto sette mesi in una prigione governativa.
La vicenda inizia a giugno, quando la polizia del Missouri emette un bollettino di ricerca su Timmerman. Le segnalazioni arrivano a Budapest, dove l’uomo frequentava una chiesa prima di far perdere le sue tracce. Timmerman ha raccontato di aver lasciato l’Ungheria per raggiungere il Libano con l’intenzione di entrare in Siria come «pellegrino». Senza visto, è stato fermato dai militari lealisti e imprigionato. È stato poi liberato dai ribelli e trovato vagante, con l’intenzione di trasferirsi in Giordania.
Timmerman ha dichiarato: «Non ho subito violenze, avevo cibo e acqua, ma potevo andare al bagno solo tre volte al giorno». Nonostante le sue condizioni, ha raccontato di torture su altri prigionieri, soprattutto giovani. La sua vicenda solleva interrogativi sulla scelta di avventurarsi in una regione pericolosa, una decisione non isolata tra occidentali.
Ora è stato preso in consegna dagli insorti, che si sono impegnati a facilitare la sua partenza. Gli stessi insorti hanno promesso di indagare sulla sorte di Austin Tice, cercando tra i detenuti liberati o centri segreti. Washington e la famiglia Tice ritengono che il giornalista sia ancora vivo, forse sequestrato da milizie o lealisti per usarlo come pedina di scambio. Damasco ha sempre mantenuto ambiguità, negando di sapere dove si trovi, nonostante un video diffuso nel 2012 mostrasse Tice bendato, circondato da uomini armati.