Un albero di Natale incendiato in un piccolo villaggio vicino alla città di Hama ha scatenato manifestazioni spontanee tra la comunità cristiana di Damasco. A Hama, croci nel cimitero cristiano sono state distrutte e un gruppo di combattenti ha aperto il fuoco con mitra contro la cattedrale greco-ortodossa. «Difendiamo i diritti dei cristiani», grida la folla nel quartiere cristiano di Bab Tuma, mentre si dirige verso il Patriarcato ortodosso di Bab Chargi.
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Questi eventi segnalano un clima di crescente ansia e preoccupazione. Le minoranze non sunnite, in particolare i cristiani, temono per la loro sicurezza. Sin dagli anni Settanta, molti di loro avevano sostenuto la dittatura laica del clan Assad, compresi agenti della polizia segreta e membri della milizia Shabiha, tristemente nota per la sua brutalità durante le repressioni delle manifestazioni della «primavera araba» dal 2011. Oggi, la paura è palpabile. «In molti vorrebbero emigrare. I fondamentalisti islamici ci minacciano. Al momento si mostrano moderati, ma presto mostreranno il loro vero volto radicale», afferma un giovane ventenne di guardia alla chiesa del patriarcato latino. Sentimenti simili emergono anche tra i commercianti.
I rivenditori di alcolici sono tra i più spaventati. «Saremo costretti a chiudere. Un governo islamico imporrà la legge religiosa, come già avvenuto nella zona di Idlib negli ultimi anni», dice Naji Jaber, proprietario di un negozio di vini. Le sue parole richiamano alla mente le preoccupazioni della comunità cristiana irachena dopo la caduta di Saddam Hussein nel 2003. Tuttavia, tra i cristiani siriani, cresce il sospetto verso i guerriglieri stranieri che hanno aderito a Hayat Tahrir al-Sham, il principale gruppo islamico che, grazie al supporto turco, ha spodestato Bashar Assad l’8 dicembre.
Tra questi guerriglieri ci sono musulmani cinesi, tajiki e uzbeki, molti dei quali provengono da Al Qaeda e Isis. Si sospetta che alcuni jihadisti stranieri siano responsabili degli attacchi a Hama. Il nuovo leader a Damasco, Abu Mohammad al Jolani, ha già promesso che i colpevoli saranno puniti. «Aspiriamo a un governo aperto e inclusivo per tutte le comunità. La Siria del futuro non avrà nulla in comune con l’Afghanistan talebano», ribadisce anche alle delegazioni straniere che incontra.
Tuttavia, queste rassicurazioni non riescono a calmare i timori. «Le gerarchie cristiane locali tendono a riporre fiducia nel nuovo governo transitorio, ma i fedeli sono molto preoccupati per il loro avvenire», spiega il nunzio, cardinale Mario Zenari, presente nel Paese da quasi vent’anni. «Prima del 2011, i cristiani costituivano circa il 10% della popolazione, oggi sono scesi al 2%. Questo crollo demografico riflette la sfiducia che aleggia tra una delle più antiche comunità cristiane del Medio Oriente», aggiunge. Ad Aleppo, i cristiani erano 150.000 prima del 2011, ora sono meno di 30.000.
L’arcivescovo maronita, Samir Nassar, di origine libanese e residente in Siria da 18 anni, mostra una maggiore fiducia. «Voglio credere alle promesse del nuovo governo. Noi cristiani libanesi siamo abituati a convivere con l’Islam, anche nelle sue forme più radicali, come Hezbollah. Sono certo che troveremo un modo per andare avanti», afferma. La sua è l’unica comunità che celebra la messa della mezzanotte di Natale, mentre tutte le altre chiese rimangono chiuse per motivi di sicurezza. «C’è troppa instabilità. Non solo i radicali jihadisti, ma anche la mancanza di polizia e l’alta criminalità hanno reso le città insicure. Durante la notte, la gente resta chiusa in casa», riferiscono le chiese latina e protestante. Nonostante ciò, a Damasco gli alberi di Natale e le decorazioni festive sono visibili nel centro città. Le prossime settimane saranno cruciali per testare le promesse del nuovo governo.