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Auto elettriche, l’esperto smonta gli obiettivi del Green Deal europeo: “Irrealistici e pericolosi”

Pubblicato: 30/12/2024 11:45

L’idea di eliminare i combustibili fossili per raggiungere la neutralità climatica entro il 2050 sembra più una chimera che una realtà concreta, secondo molti esperti e studiosi. Il rischio di perseguire obiettivi così ambiziosi in un tempo così breve potrebbe essere quello di mettere in ginocchio l’economia globale, con effetti disastrosi particolarmente in Europa, il continente che più si è impegnato in questo percorso.

Secondo Björn Lomborg, famoso scienziato danese e ambientalista critico, i progressi nell’abbandono dei combustibili fossili sono stati marginali. I dati della Iea (Agenzia Internazionale dell’Energia) mostrano che, dal 2000 a oggi, la quota globale di energia proveniente dai combustibili fossili è scesa di appena lo 0,2%.

Al ritmo attuale, spiega Lomborg, serviranno 341 anni per eliminare petrolio, carbone e gas. Insomma, in base alla proiezione calcolata partendo dall’anno 2000 i combustibili fossili verranno eliminati nel 2401. Mentre secondo un’altra proiezione, calcolata dal 1970, ci vorranno addirittura 9 secoli per dire addio a petrolio, carbone e gas. L’umanità dovrà farsene una ragione fino 2905.

Gli sforzi necessari: numeri impressionanti

Uno studio condotto da Roger Pielke, uno scienziato americano, evidenzia quanto sarebbe necessario fare per raggiungere lo zero netto entro il 2050. Secondo i suoi calcoli, ogni anno le energie rinnovabili dovrebbero aumentare di 22 ExaJoule e le fonti fossili diminuire di 18 ExaJoule.

In termini concreti, questo significherebbe costruire una centrale nucleare da 1,75 GW al giorno o installare 2000 turbine eoliche da 3 MW ogni singolo giorno fino al 2050. Cifre che rendono evidente come il percorso non sia praticabile. Questi numeri sollevano dunque enormi dubbi sull’effettiva sostenibilità economica e sociale di questa transizione.

I costi nascosti delle soluzioni “green”

Anche le tecnologie considerate pulite non sono prive di impatti. Un esempio recente è la diga idroelettrica in costruzione in Tibet, destinata a diventare la più grande al mondo. Anche se fornirà energia rinnovabile, il progetto comporterà gravi danni agli ecosistemi locali, spostamenti di comunità e alterazioni significative del paesaggio naturale.

Un altro esempio riguarda l’estrazione di materiali essenziali per la produzione di batterie e turbine eoliche, come litio, cobalto e terre rare. Questi processi, che sono fondamentali per la transizione energetica, causano danni ambientali e sociali significativi.

Ripensare la transizione climatica

Di fronte a queste evidenze, alcuni studiosi e osservatori suggeriscono di rivedere gli obiettivi climatici, adottando strategie più realistiche e meno dannose. Continuare a perseguire un traguardo irrealistico come sta facendo l’Unione Europea, affermano, potrebbe comportare danni maggiori rispetto a quelli derivanti dall’innalzamento delle temperature globali di uno o due gradi.

L’urgenza di preservare l’ambiente non è in discussione secondo gli scienziati. Ma è altrettanto essenziale affrontare il problema con soluzioni realistiche e ponderate, che tengano conto della complessità economica, sociale e ambientale del pianeta. E non con progetti ideologici che, come evidenziano i numeri e gli studi, non hanno alcuna possibilità di essere realizzati e che potrebbero causare danni immani, peggiori di quelli che vorrebbero sconfiggere.

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