La preoccupazione cresce dopo che, il 15 dicembre, due petroliere sono state danneggiate da una tempesta, causando il rilascio di migliaia di tonnellate di petrolio in mare. Putin ha definito la situazione un “disastro ambientale”.
«Attualmente, i volontari stanno raccogliendo la sabbia contaminata e la stanno spostando in sacchi da un luogo, dove compromette il terreno, a un altro, continuando a inquinarlo. A Voskresenskaya, per esempio, i camion hanno scaricato i sacchi poco distanti dalle abitazioni. Ho anche appreso che situazioni simili si verificano nei pressi della città di Primorsky, dove i sacchi sono stati lasciati vicino alla riserva naturale di Tamano-Zaporozhsky, habitat invernale per diverse specie di uccelli».
Sono trascorsi tre giorni da quando le autorità locali hanno segnalato la presenza di petrolio al largo delle coste di Sebastopoli, in Crimea, proveniente da due petroliere russe danneggiate durante una tempesta il mese scorso. Per il presidente Vladimir Putin si tratta di un “disastro ambientale”, ma per molti esperti è una nuova tragedia per una zona già martoriata da conflitti e un mare già minacciato da mine e ordigni bellici.
In questo caso, è stata una tempesta a causare i danni. Le petroliere Volgoneft-212 e Volgoneft-239 sono state colpite il 15 dicembre nello stretto di Kerch, che connette il Mar d’Azov al Mar Nero, vicino alla Crimea e alla regione russa di Krasnodar, un’area cruciale per il conflitto e la navigazione. Sebastopoli, che conta oltre mezzo milione di abitanti e ospita la flotta russa del Mar Nero, è stata frequentemente bersaglio di attacchi ucraini dall’inizio dell’invasione su larga scala nel febbraio 2022. Inoltre, rappresenta una delle riserve faunistiche più significative del Mar Nero.
Le navi trasportavano 9.200 tonnellate di olio combustibile pesante, e si stima che circa il 40% del carico sia finito in mare. Il governatore della città, Mikhail Razvozhayev, ha minimizzato la situazione nel corso dei giorni scorsi, affermando su Telegram che una “piccola chiazza di petrolio” ha raggiunto Sebastopoli, mostrando un video della sostanza densa in acqua e descrivendo la chiazza come larga e lunga circa 1,5 metri. Tuttavia, ha dovuto dichiarare lo stato di emergenza regionale.
Secondo il Ministero russo per le situazioni di emergenza, sono state rimosse finora 78.000 tonnellate di sabbia e terreno contaminati dalle spiagge della Crimea e della Russia meridionale, con stime che arrivano a un totale di 200.000 tonnellate di bonifica necessarie. Gli attuali sforzi di recupero si basano principalmente sul lavoro di volontari, stimati in circa 9.000, impegnati nella raccolta del petrolio una volta che questo giunge a riva.
La cooperativa di giornalisti indipendenti Bereg ha intervistato alcuni volontari, e Meduza ha ripubblicato le testimonianze in inglese. «Non abbiamo visto alcun servizio pubblico, solo volontari», racconta Nadezhda, un’imprenditrice. Aggiunge: «Ho notato molti uomini sulla spiaggia senza equipaggiamento protettivo, nonostante il petrolio fosse altamente tossico. Molti lavoravano con abiti normali. La sabbia era contaminata ovunque. Le persone la mettevano in sacchi, ma in realtà sarebbero servite delle livellatrici per rimuovere tutto».
Le autorità russe ammettono che il tipo di petrolio coinvolto, il mazut di grado M-100, è particolarmente difficile da pulire, poiché è denso e affonda sotto la superficie dell’acqua. Il ministero dei trasporti russo sottolinea che “non esiste una tecnologia comprovata al mondo per rimuoverlo dalla colonna d’acqua”.