Venti giorni di isolamento, paura e privazioni: è il drammatico racconto di Cecilia Sala, giornalista italiana di 29 anni, arrestata in Iran e trattenuta nella famigerata prigione di Evin. Dopo quasi tre settimane di detenzione, Sala è finalmente tornata in Italia, accolta da abbracci, applausi e un sollievo palpabile, ma il ricordo di quei giorni rimarrà per sempre con lei.
Leggi anche: In una città italiana vendono le case a 3 euro: i motivi, cosa sta succedendo
La prigione di Evin e l’isolamento totale
Sala è stata prelevata dalla polizia iraniana direttamente dal suo hotel e condotta in isolamento in una cella angusta, senza letto né conforto. La luce era perennemente accesa, privandola della percezione del tempo, mentre i pasti consistevano in piccole porzioni di datteri e altre pietanze essenziali.
«Non sapevo più distinguere il giorno dalla notte», ha raccontato Sala ai familiari, sottolineando come il tempo sembrasse dilatarsi all’infinito. Nonostante la mancanza di violenze fisiche, le condizioni in cui è stata trattenuta rappresentano una forma di “tortura bianca”, caratterizzata da deprivazione sensoriale e isolamento.
Le richieste per resistere
Nella solitudine della prigione, Sala ha cercato di mantenere un equilibrio mentale. Inizialmente ha chiesto una Bibbia, non per motivi religiosi, ma perché pensava potesse essere un libro disponibile in inglese e, grazie alla sua lunghezza, un modo per affrontare l’incertezza della detenzione.
Le prime comunicazioni con la famiglia sono avvenute tramite telefonate rigidamente controllate, in cui Sala era costretta a leggere messaggi preconfezionati. Solo dopo quasi venti giorni, ha ricevuto un libro, Kafka sulla spiaggia di Haruki Murakami, che l’ha aiutata a ritrovare un minimo di normalità.
Un ritorno carico di emozioni
La svolta è arrivata nella notte tra martedì e mercoledì, quando è stata trasferita nella sede dell’ambasciata italiana a Teheran. Qui ha atteso l’alba e il volo che l’avrebbe riportata a casa.
All’arrivo a Ciampino, Sala è stata accolta con grande calore. Tra gli applausi e gli abbracci, ha trovato la forza di ringraziare le istituzioni italiane per il loro impegno nella sua liberazione, ma ha anche confessato: «Scusate se non riesco a parlare bene, sono giorni che non parlo con nessuno».
Subito dopo, è stata invitata a rilasciare la sua deposizione ai carabinieri dell’Antiterrorismo, ma ha chiesto un momento per sé: «Posso fumare una sigaretta prima?». Quel momento di intimità, condiviso con il compagno Daniele Raineri, è stato il primo vero respiro di libertà dopo settimane di privazioni. In un post pubblicato stamattina su X ha scritto: “Ho la fotografia più bella della mia vita, il cuore pieno di gratitudine, in testa quelli che alzando lo sguardo non possono ancora vedere il cielo. Non ho mai pensato, in questi 21 giorni, che sarei stata a casa oggi. Grazie”.
Ho la fotografia più bella della mia vita, il
— Cecilia Sala (@ceciliasala) January 9, 2025
cuore pieno di gratitudine, in testa quelli che alzando lo sguardo non possono ancora vedere il cielo. Non ho mai pensato, in questi 21 giorni, che sarei stata a casa oggi. Grazie pic.twitter.com/wD2T4Ut3Vo
Il racconto di un’esperienza estrema
Sala, nota per i suoi podcast e articoli di approfondimento, promette di raccontare la sua esperienza con i dettagli che emergono solo da chi ha vissuto simili eventi in prima persona. Le sue prime parole trasmettono la resilienza e il coraggio di chi ha affrontato condizioni estreme con lucidità.
L’arresto e la detenzione di Sala richiamano l’attenzione sulle difficoltà che giornalisti e reporter affrontano in paesi con regimi repressivi. Questo episodio non solo evidenzia i rischi del mestiere, ma rappresenta anche un importante promemoria del valore della libertà di stampa e dell’impegno delle istituzioni nel proteggere i propri cittadini.
Cecilia Sala è tornata a casa, ma il suo viaggio, e il suo racconto, sono solo all’inizio.