
I pensionati italiani speravano in un rimborso dopo i tagli subiti con il cosiddetto “raffreddamento” della rivalutazione, ma la Corte Costituzionale ha confermato la legittimità della misura voluta dal governo Meloni. Con la sentenza n. 19, pubblicata oggi, la Consulta ha respinto i ricorsi presentati da alcuni ex presidi e ha bocciato le questioni di legittimità costituzionale sollevate dalla Corte dei Conti della Toscana e della Campania.
Il verdetto della Corte Costituzionale
Nel comunicato ufficiale, la Consulta ha dichiarato che la riduzione della rivalutazione automatica delle pensioni superiori a quattro volte il minimo Inps non viola i principi di ragionevolezza, proporzionalità e adeguatezza dei trattamenti pensionistici. I giudici hanno sottolineato che il meccanismo adottato dal governo non è irragionevole, in quanto:
- Protegge le pensioni più basse, mantenendo la rivalutazione piena per i trattamenti di minore entità.
- Applica il taglio in modo progressivo, penalizzando in misura crescente le pensioni più elevate.
- Ha una durata limitata nel tempo, quindi non costituisce una misura permanente.
Secondo la Corte, la scelta del legislatore è coerente con la politica economica del governo, che mira a contenere gli effetti dell’inflazione sulle fasce di reddito più deboli.
Pensionati penalizzati, ma possibili correttivi futuri
La sentenza riconosce che i pensionati hanno subito perdite significative: il taglio alla rivalutazione, secondo le stime, comporterà un mancato adeguamento delle pensioni per un totale di 37 miliardi di euro. La Corte però lascia aperta la porta a eventuali correttivi futuri, affermando che il governo potrà rivedere l’indicizzazione in caso di nuove manovre economiche.
Per ora, però, il verdetto è chiaro: il taglio alle pensioni resta e il governo Meloni incassa un’importante vittoria politica e giudiziaria.