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Trump e la fine del secolo americano: l’Ucraina abbandonata e il rischio di nuove guerre in Europa

Pubblicato: 14/02/2025 11:45

Con la telefonata amichevole a Vladimir Putin, Donald Trump ha segnato una svolta che potrebbe ridefinire gli equilibri geopolitici globali. Secondo l’analisi di Roberto Fabbri su Il Giornale, il nuovo corso della politica estera statunitense segna il tramonto dell’egemonia americana in Europa e concede un vantaggio strategico non solo a Mosca, ma anche a Pechino.

Gli Stati Uniti non difenderanno più l’Europa

La linea politica delineata dal nuovo segretario alla Difesa, Pete Hegseth, è chiara: la sicurezza europea non è più una priorità americana. Questo implica che l’Ucraina non entrerà nella Nato, non riavrà i suoi confini pre-invasione e gli Stati Uniti non impiegheranno truppe né per garantire la sicurezza ucraina né per una missione di peacekeeping. Fabbri evidenzia come questo rappresenti un evidente allineamento con il Cremlino, con Trump che ha dichiarato apertamente: “Putin non vuole l’Ucraina nella Nato, e per me va bene“.

Le conseguenze per l’Europa orientale

L’effetto immediato di questa politica è il rafforzamento delle mire espansionistiche russe. Se gli Stati Uniti accettano la violazione dell’integrità territoriale dell’Ucraina, la stessa logica potrebbe estendersi a Lituania, Lettonia ed Estonia, Paesi membri della Nato e dell’Unione Europea. Secondo Fabbri, una futura guerra russa potrebbe partire proprio da qui, per poi espandersi alla Polonia e ad altri Stati dell’Europa centrale, in nome di presunte garanzie per la sicurezza russa.

Il riferimento ideologico è l’eurasianismo di Aleksandr Dugin, che teorizza un’Europa sotto l’influenza di Mosca, con una “sovranità limitata” simile a quella imposta durante l’era sovietica. Trump, secondo Fabbri, ignora (o finge di ignorare) questa strategia, contribuendo inconsapevolmente a realizzarla.

Trump e la sua visione del mondo

L’analisi di Fabbri sottolinea che Trump non si considera un alleato dell’Europa. Il suo concetto di relazioni internazionali non prevede partnership solide, ma solo rapporti di forza. Per lui, come per Putin, i Paesi europei sono “cagnolini al guinzaglio” o concorrenti da mettere sotto pressione. Lo slogan “America First” riflette questa visione: gli Stati Uniti non si curano più dell’Occidente e della Nato, e l’Ucraina è solo una pedina sacrificabile in questa nuova logica di potere.

Trump, sempre secondo Fabbri, ragiona come gli autocrati Putin e Xi Jinping, con cui intende trattare da pari per spartirsi il mondo. Il suo metodo è chiaro: pugno duro con i deboli e accordi con i forti. Le minacce lanciate in passato alla Danimarca per ottenere la Groenlandia, a Panama per riprendersi il Canale o addirittura al Canada dimostrano che il suo approccio non è solo retorica, ma un reale modus operandi.

Le ripercussioni globali: Taiwan nel mirino di Pechino

La resa diplomatica di Trump davanti a Putin ha un’altra conseguenza immediata: il rafforzamento della posizione della Cina. Trattando con rispetto il leader del Cremlino e piegandosi alle sue richieste, il presidente americano ha lanciato un segnale a Pechino. Se gli Stati Uniti non sono più il baluardo della democrazia, se accettano la violazione dei trattati internazionali e rinunciano al loro ruolo di garanti della sicurezza globale, allora l’invasione di Taiwan diventa una possibilità concreta nel prossimo futuro.

Fabbri conclude la sua analisi sottolineando che, con questa scelta, Trump ha smantellato il principio che per decenni ha fatto degli Stati Uniti il difensore dell’Occidente. Il prezzo di questa svolta sarà altissimo, e l’Europa potrebbe trovarsi sola di fronte a una nuova epoca di conflitti e instabilità.

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