
Mario Draghi, ex presidente della Bce ed ex premier italiano, torna a lanciare un allarme sulla competitività europea. In un editoriale pubblicato oggi sul Financial Times, Draghi sottolinea come l’Unione Europea si stia autoimponendo dazi attraverso la burocrazia e regolamenti eccessivi, limitando così il proprio potenziale economico di fronte a potenze come Stati Uniti e Cina.
Secondo Draghi, l’attuale situazione non è sostenibile, perché equivale a frenare la crescita economica europea ancor prima di dover affrontare le nuove barriere commerciali imposte dagli Usa.
Un monito sulle vulnerabilità dell’Europa
“Le recenti settimane hanno rappresentato un chiaro monito sulle vulnerabilità dell’Europa“, scrive Draghi. L’area euro ha mostrato una crescita economica marginale alla fine del 2024, mettendo in evidenza la fragilità della ripresa.

Nel frattempo, gli Stati Uniti hanno avviato nuove politiche protezionistiche, imponendo dazi ai principali partner commerciali, con l’Ue tra i prossimi obiettivi. Questa situazione, sottolinea Draghi, accresce le incertezze sulla crescita europea, che dipende fortemente dalla domanda estera.
Ue stretta tra barriere interne e ostacoli normativi
Secondo Draghi, due fattori principali hanno portato l’Europa a questa situazione:
- Barriere interne e regolamenti eccessivi – “Questi ostacoli sono più dannosi di qualsiasi dazio imposto dagli Usa”, avverte l’ex premier. Secondo il Fmi, le barriere interne dell’Ue equivalgono a tariffe del 45% nel settore manifatturiero e del 110% nei servizi. Ciò limita gli scambi tra Paesi membri, rendendoli meno della metà di quelli che avvengono all’interno degli Stati Uniti.
- Una domanda interna debole – Dal 2008, l’Ue ha mostrato una cronica debolezza della domanda interna. “Gli Stati Uniti hanno immesso oltre cinque volte più fondi nell’economia rispetto all’area euro, tra il 2009 e il 2024, attraverso politiche fiscali espansive“, evidenzia Draghi.

L’impatto delle barriere interne e della regolamentazione sul digitale
Le politiche europee, secondo Draghi, hanno frenato la crescita proprio nei settori più innovativi. “L’Ue ha esteso la regolamentazione al settore digitale, ostacolando lo sviluppo delle aziende tecnologiche. Il Gdpr, ad esempio, ha ridotto i profitti delle piccole imprese tecnologiche fino al 12%“. Questo ha avuto un impatto particolarmente negativo, considerando che il settore dei servizi rappresenta circa il 70% del Pil dell’Unione.
Secondo Draghi, le difficoltà dell’Europa sono in gran parte auto-inflitte , risolvibili con le giuste scelte politiche. “Eliminare i vincoli normativi e burocratici favorirebbe la crescita dei settori più innovativi e ridurrebbe la dipendenza dalle esportazioni, senza bisogno di nuove barriere commerciali”. In questo contesto, il Competitiveness Compass della Commissione Europea fornisce una strategia chiara per rilanciare la competitività e la sostenibilità.
Ma serve un cambiamento radicale di mentalità
Per Draghi, tuttavia, un vero cambiamento richiede un “radicale cambio di mentalità“. Finora l’Ue si è concentrata su obiettivi singoli o nazionali, senza considerare i costi collettivi delle proprie scelte. “L’approccio attuale non ha migliorato il benessere dei cittadini europei, non ha rafforzato le finanze pubbliche, né aumentato l’autonomia nazionale”, sostiene l’ex presidente della Bce. Per questo, conclude, un cambiamento profondo nelle politiche europee è ormai imprescindibile.