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Caso Regeni, il diplomatico Varricchio ritratta: rischio falsa testimonianza

Pubblicato: 20/02/2025 12:01
giulio regeni processo

Un nuovo sviluppo scuote il processo per la morte di Giulio Regeni, il ricercatore italiano sequestrato e ucciso in Egitto nel 2016. Armando Varricchio, ex consigliere diplomatico dell’allora presidente del Consiglio Matteo Renzi, ha modificato la sua precedente versione dei fatti, dichiarando di essersi accorto solo dopo l’udienza di essere stato all’estero dal 26 al 31 gennaio 2016 e di essersi quindi occupato della vicenda solo al suo rientro in Italia.

Le sue parole, contenute in una lettera depositata agli atti della Corte d’Assise di Roma, sono state immediatamente trasmesse alla Procura per valutare l’eventualità di una contestazione per falsa testimonianza. Questo colpo di scena mette in dubbio la gestione iniziale della scomparsa di Regeni e alimenta interrogativi sul ruolo delle autorità italiane nei giorni cruciali successivi al rapimento.

La contraddizione nelle dichiarazioni di Varricchio

Durante l’udienza dell’11 febbraio, Varricchio aveva dichiarato di aver ricevuto il 28 gennaio una nota dall’ambasciata italiana al Cairo contrassegnata come “urgente”. Nella sua testimonianza aveva spiegato di ricordare bene quella comunicazione, che riportava aggiornamenti sul caso di Regeni e sulla crescente rilevanza della vicenda.

Ora, però, il diplomatico corregge il tiro: “Solo dopo l’udienza, consultando le mie agende, ho verificato che ero in Giappone dal 26 al 31 gennaio. Ho potuto occuparmi della vicenda solo al mio ritorno”. Questo ribaltamento della versione fornita in aula solleva dubbi non solo sulle sue dichiarazioni precedenti, ma anche sulla gestione della crisi a livello governativo.

La reazione della famiglia Regeni

La nuova versione di Varricchio ha provocato una reazione indignata da parte della famiglia di Giulio Regeni. L’avvocata Alessandra Ballerini ha definito la deposizione “imbarazzata e imbarazzante”, sottolineando come le parole dell’ex premier Renzi – “se lo avessi saputo prima, forse, avrei potuto fare qualcosa” – assumano ora un significato ancora più grave.

“Abbiamo sentito una delle persone che avrebbe potuto avvisare il premier e che non lo ha fatto. E ora scopriamo che non lo ha fatto perché non era nemmeno in Italia. Siamo basiti”, ha dichiarato Ballerini. La sensazione è che la vicenda non sia stata gestita con la necessaria tempestività nei giorni immediatamente successivi al rapimento di Giulio.

Le implicazioni politiche e il ruolo dell’Italia

Questa retromarcia alimenta sospetti su quanto effettivamente le autorità italiane abbiano fatto per salvare Regeni mentre era ancora in vita. Se il premier Matteo Renzi è stato informato solo il 31 gennaio, chi ha preso in mano la situazione nei giorni precedenti? E perché l’informazione sul sequestro non è stata comunicata prima ai vertici del governo?

Il caso Regeni è sempre stato caratterizzato da ombre e ambiguità, con il sospetto che l’Italia non abbia esercitato la necessaria pressione sull’Egitto nei momenti decisivi. Ora, con la ritrattazione di Varricchio, si rafforzano i dubbi sulla trasparenza della gestione del caso a livello diplomatico e istituzionale.

Le prossime tappe del processo

Il processo riprenderà l’8 aprile, con l’audizione di un testimone chiave: l’ambulante egiziano che avrebbe consegnato Regeni ai servizi segreti del Cairo. Nel frattempo, la Procura dovrà valutare la posizione di Varricchio e decidere se procedere con un’accusa di falsa testimonianza.

La battaglia per la verità e la giustizia per Giulio Regeni continua, mentre il dibattito su quanto fatto (e non fatto) dall’Italia nei giorni cruciali si fa sempre più acceso.

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