
L’intenzione di Donald Trump di riportare la produzione di semiconduttori negli Stati Uniti potrebbe segnare un drastico cambiamento negli equilibri dell’Asia orientale. Se il Presidente Usa dovesse insistere su questa linea, la politica americana su Taiwan potrebbe mutare, lasciando via libera a Pechino e alle sue rivendicazioni territoriali sull’isola.
La Cina accusa Taiwan di “sperperare” risorse per difendersi
Intanto Pechino ha reagito con parole dure all’aumento del budget della difesa di Taipei, che supererà il 3% del Pil. La portavoce cinese dell’Ufficio per gli affari di Taiwan, Zhu Fenglian, ha definito la mossa del presidente taiwanese William Lai un tentativo di trasformare l’isola in una “polveriera”, sostenendo che le autorità locali stanno “sperperando soldi” per pagare le tasse di protezione imposte dagli Stati Uniti.
Secondo Pechino, il governo taiwanese sta usando l’industria dei semiconduttori per portare avanti le proprie ambizioni separatiste, tradendo gli interessi della popolazione locale.
Il pericolo di uno smantellamento di TSMC
Il timore di Pechino è che la storica azienda TSMC, leader mondiale nella produzione di chip, venga smembrata e trasferita negli Usa. “Sta crescendo l’ansia per la possibilità che TSMC diventi USSMC”, ha dichiarato Zhu Fenglian, rispondendo alle parole di Trump, secondo cui Taiwan ha rubato il business dei semiconduttori agli Stati Uniti e lui intende riportarlo a casa.

Questa prospettiva potrebbe spingere Pechino a una mossa aggressiva prima che il progetto di Trump si concretizzi, aumentando il rischio di una crisi su larga scala nel Pacifico. Nello stesso tempo, il Presidente americano, dichiarando di voler produrre i semiconduttori negli Stati Uniti, ha messo in difficoltà anche Taiwan. Se l’isola non avesse più interesse strategico per gli Usa, sarebbe esposta alle mire cinesi.
Si tratta di una partita a doppio giro. Da una parte, la Cina non vorrebbe perdere il vantaggio di produzione, dall’altra nessuno vorrebbe imbarcarsi in un nuovo conflitto. Le parole di Trump, che guardano più al lato commerciale che a quello geopolitico, potrebbero essere interpretate come un disimpegno verso Taiwan, che gli Usa hanno sempre “protetto” ma senza un impegno strategico. Un allontanamento che potrebbe preludere a un accordo con la Cina, come sta avvenendo in Ucraina con la Russia.
Esercitazioni cinesi e tensione militare
Nel frattempo, l’esercito cinese ha intensificato le sue attività militari attorno all’isola. Taipei ha allertato le proprie forze armate dopo che 32 aerei cinesi sono stati avvistati nello spazio aereo vicino a Taiwan. Inoltre, Pechino ha annunciato esercitazioni a fuoco vivo a 74 km dall’isola, provocando la condanna di Taiwan e dell’Occidente. Il ministero della Difesa di Taipei ha mobilitato forze aeree, marittime e terrestri per rispondere in modo appropriato alle minacce.

Incidenti sui cavi sottomarini: guerra ibrida in corso?
A complicare il quadro, martedì le autorità taiwanesi hanno accusato Pechino di aver deliberatamente danneggiato il cavo sottomarino n.3, che collega l’isola all’arcipelago di Penghu. Il cargo cinese ‘Hongtai’ è stato intercettato e scortato nel porto di Tainan per accertamenti.
Pechino ha liquidato l’incidente come una “manipolazione politica”, sostenendo che nel mondo si verificano ogni anno centinaia di incidenti simili. Secondo Taipei, invece, si tratta di un chiaro segnale dell’uso sempre più aggressivo della guerra ibrida da parte della Cina.
Uno scenario sempre più esplosivo
Se Trump dovesse realmente avviare lo spostamento della produzione di semiconduttori negli Stati Uniti, la Cina potrebbe vedere questo come l’ultimo pretesto per accelerare le sue mosse su Taiwan. La situazione potrebbe evolversi rapidamente da una guerra economica a una vera e propria crisi militare nel Pacifico. Ma, a sorpresa, con gli Usa spettatori, o comunque non direttamente coinvolti. Il che confermerebbe che dietro alle bizzarrie di Trump e della sua amministrazione c’è una precisa strategia politica di “spartizione” dl mondo”.