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Ucraina e dintorni, va in onda la solita Italietta

Pubblicato: 06/03/2025 07:13

L’Italia, maestra indiscussa nell’arte dell’equilibrismo, continua il suo storico numero da circo sulla scena internazionale. Un po’ con gli americani, un po’ con chiunque possa garantirci un posto a tavola nei grandi vertici, il nostro Paese si distingue sempre per la capacità di stare in mezzo senza farsi troppo notare. Questa volta posizione ufficiale? “Non si è mai parlato di truppe” e “non è utile inviarle”. Traduzione: aspettiamo di vedere come butta prima di compromettere equilibri delicatissimi. D’altronde, abbiamo una lunga esperienza nel giocare a rimpiattino con la Storia. Durante la Seconda guerra mondiale, siamo entrati nel conflitto solo quando sembrava che Hitler avesse già fatto tutto il lavoro sporco. Era il 10 giugno 1940, nove mesi dopo l’inizio delle ostilità. Ma perché farsi prendere dalla fretta?

Anche nella Prima guerra mondiale, l’Italia diede il meglio di sé nel gioco delle tre carte. Ufficialmente legata agli Imperi Centrali dalla Triplice Alleanza, nel 1914 decise che sarebbe stato più saggio rimanere “neutrali”, cioè aspettare di vedere chi avrebbe offerto di più. Un anno dopo, con il Patto di Londra, Londra e Parigi misero sul piatto territori a nord-est e promesse di gloria. Ed ecco che l’Italia si riscoprì interventista e il 24 maggio 1915 entrò in guerra contro l’Austria-Ungheria, fino al giorno prima nostro alleato. Mossa spregiudicata? No, semplicemente la nostra specialità: l’opportunismo ben mascherato da senso del dovere.

Anche durante la Guerra Fredda, l’Italia si fece notare per il suo micro-gollismo, una strategia diplomatica che ci permetteva di commerciare con l’Unione Sovietica senza però scontentare troppo gli Stati Uniti. Memorabile fu il caso della Fiat, che costruì la gigantesca fabbrica automobilistica di Togliattigrad in Unione Sovietica, mentre ufficialmente restavamo fedeli all’Alleanza Atlantica. Insomma, amici di tutti e nemici di nessuno.

Non solo: negli anni ‘70 e ‘80 abbiamo applicato lo stesso schema in Medio Oriente, riuscendo nell’impresa di mantenere ottimi rapporti sia con Israele che con i paesi arabi. Una vera acrobazia diplomatica che ci ha permesso di recitare il ruolo del mediatore senza mai esporsi troppo. Certo, ogni tanto qualche piccolo incidente di percorso c’è stato, ma vuoi mettere il prestigio di essere gli unici a poter parlare con tutti?

Ora, di fronte all’Ucraina, il copione non cambia. La posizione ufficiale è che “la presenza di truppe in questa fase non è mai stata all’ordine del giorno”. Il che, in fondo, suona molto come il classico “io ve lo dico, poi fate voi”. Il nostro vero talento resta quello di restare a metà strada tra il “non vogliamo scontentare gli americani” e il “non vogliamo far arrabbiare i russi”, nella speranza che alla fine nessuno si ricordi di chiederci da che parte stiamo davvero.

E questa stessa logica si ripete anche nella costruzione dell’Europa. Sempre un passo indietro per vedere come va a finire, sempre con lo sguardo rivolto a Berlino o Parigi per capire da che parte tira il vento, sempre con il riflesso pavloviano di chi vuole restare seduto al tavolo delle decisioni ma senza mai rischiare davvero. L’Europa avanza, si trasforma, si integra? Noi prima ci lamentiamo, poi accettiamo, ma sempre con quell’aria da chi dice “va bene, ma senza esagerare”.

Del resto, sul riarmo europeo c’è già chi si occupa di fare opposizione preventiva, nel caso qualcuno si stesse illudendo che l’Italia possa esprimere una posizione chiara. Giuseppe Conte ed Elly Schlein hanno ribadito il loro “no” secco a qualsiasi corsa agli armamenti, ricordandoci che la pace è sempre meglio della guerra. Grazie, lo avremmo dimenticato senza di loro. In un mondo in cui si discute di difesa comune e deterrenza, la strategia del pacifismo senza se e senza ma ricorda un po’ la vecchia tattica del nascondino: se non ti vedono, magari non ti colpiscono. Un’idea geniale, con il piccolo difetto che la storia suggerisce il contrario. Ma tant’è, l’importante è poter dire, tra qualche anno, qualsiasi cosa accada: “noi eravamo contrari”.

E se c’è un campione assoluto di questa Italietta, uno che ha fatto del pacifismo opportunista il suo marchio di fabbrica, quello è Matteo Salvini. Lo stesso che fino a ieri strizzava l’occhio a Putin con le magliette di propaganda, oggi si erge a paladino della pace. Nessun soldato italiano in Ucraina, nessun riarmo, nessuna escalation: in pratica, la formula perfetta per non disturbare né Mosca né Washington, lasciando sempre aperta una porta per il prossimo giro di alleanze. Un pacifismo talmente comodo da sembrare un investimento: oggi raccolgo consensi tra chi sogna la neutralità, domani vediamo dove tira il vento. L’importante è restare sempre sulla scialuppa giusta, anche se la nave affonda.

Alla fine, questa politica da “chi sta fermo non sbaglia” è il marchio di fabbrica della solita Italietta, che aspetta, osserva, fa un passo avanti e due indietro, con la sicurezza di poter sempre dire, qualsiasi cosa accada: “l’avevamo detto”.

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Ultimo Aggiornamento: 06/03/2025 07:35

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