
Il recente rapporto di Civicus sull’Italia ha sollevato un’allerta grave, parlando di una riduzione dello spazio civico e di una deriva autoritaria nel Paese. Il documento, però, solleva più di un dubbio sulla sua imparzialità e compostezza, trasformandosi in una lettura ideologizzata che sembra ignorare volutamente il contesto globale e i veri regimi che soffocano la libertà.
Un’Italia in pericolo? O una narrazione costruita?
Secondo Civicus, l’Italia starebbe scivolando verso una limitazione delle libertà fondamentali a causa del cosiddetto “DDL anti-Gandhi”, un disegno di legge che introdurrebbe pene più severe per atti di protesta e disobbedienza civile. Il rapporto descrive il provvedimento come una stretta alla libertà di manifestare, dimenticando però un principio basilare: la libertà di protesta non è sinonimo di impunità. Bloccare il traffico, danneggiare infrastrutture pubbliche, occupare illegalmente spazi privati o impedire il normale funzionamento delle istituzioni non sono atti di pacifica protesta, ma di prepotenza.
Il diritto di manifestare non è mai stato messo in discussione in Italia, un Paese in cui scioperi, cortei e sit-in si svolgono quotidianamente senza alcun intervento repressivo. La questione posta dalla legge è semplicemente l’equilibrio tra il diritto di protesta e il rispetto delle regole democratiche. Ma per Civicus questo non è sufficiente: ogni tentativo di normare l’azione di gruppi che sfociano nell’illegalità diventa automaticamente una “minaccia alla libertà”.
Forse Civicus, che collabora attivamente con l’ONU e altri organismi internazionali, dovrebbe prestare maggiore attenzione a chi sono i veri nemici della libertà nel mondo. L’ONU, pur essendo formalmente un’istituzione super partes, non è certo immune da influenze politiche e ideologiche, specialmente quando si tratta di diritti umani e libertà civili. Più volte i suoi relatori speciali hanno mostrato un’attenzione sproporzionata alle democrazie occidentali, mentre su Paesi dove le libertà sono realmente soffocate si sono limitati a dichiarazioni formali prive di conseguenze. Invece, il rapporto si concentra sull’Italia con toni da allarme democratico, ignorando situazioni ben più drammatiche.
Se l’Italia viene messa sotto osservazione per il presunto inasprimento delle pene a chi impedisce la costruzione di infrastrutture strategiche, perché Civicus non riserva lo stesso trattamento alla Cina, dove il dissenso viene letteralmente cancellato con arresti arbitrari, campi di rieducazione e censura di Stato? Perché non c’è un’attenzione simile per la Russia di Putin, dove oppositori politici, giornalisti e manifestanti vengono incarcerati o avvelenati? Perché il focus non è sulla Turchia di Erdoğan, dove la repressione delle proteste e la chiusura di giornali indipendenti sono all’ordine del giorno?
La risposta è semplice: l’Italia è un bersaglio facile. Un Paese democratico, dove la stampa è libera e le istituzioni rispettano le regole, è il terreno perfetto per costruire una narrativa allarmistica. Perché attaccare regimi veri e propri richiederebbe un coraggio che forse a certe organizzazioni manca.
Il paradosso del giornalismo sotto attacco
Nel rapporto si denuncia anche una presunta violazione della libertà di stampa in Italia, citando l’uso di software di sorveglianza su alcuni giornalisti e attivisti. Ora, la sorveglianza digitale è un problema serio e va sempre monitorata, ma siamo davvero al punto di equiparare l’Italia ai regimi dittatoriali? In Italia nessun giornalista viene incarcerato per un articolo scomodo, nessun quotidiano viene chiuso per direttiva governativa, nessuna redazione viene perquisita dalla polizia per censurare un’inchiesta.
Se Civicus fosse davvero interessata alla libertà di stampa, dovrebbe preoccuparsi di Paesi dove i giornalisti spariscono o vengono eliminati fisicamente. In Messico, Turchia, Russia, Cina e Iran, i reporter pagano con la vita il loro lavoro. In Italia, al massimo, vengono querelati—e per quanto le querele temerarie siano un problema, siamo lontani anni luce da scenari dittatoriali.
Proteste e repressioni: quali violazioni?
Anche le presunte repressioni delle proteste in Italia vengono descritte con toni quasi apocalittici. Secondo il rapporto, gli attivisti di gruppi come Ultima Generazione e Palestina Libera sarebbero stati trattati in modo inaccettabile dalla polizia. Ma c’è una sottile differenza tra fermare un blocco stradale illegale e reprimere il dissenso politico. Civicus sembra voler mischiare i due piani, creando il sospetto che qualsiasi azione delle forze dell’ordine sia un attacco ai diritti umani.
Eppure, la stessa Civicus tace quando, altrove, la repressione è ben più brutale. Non risultano rapporti altrettanto dettagliati sui metodi utilizzati in Francia contro i Gilets Jaunes, sulle cariche della polizia tedesca contro gli attivisti di Ende Gelände, o sulle operazioni della polizia statunitense contro i movimenti ecologisti e anti-polizia.
Un giudizio politico travestito da analisi
Il vero problema del rapporto di Civicus è che non si limita a evidenziare criticità, ma costruisce una narrazione preconfezionata, in cui l’Italia viene dipinta come un Paese in bilico tra democrazia e repressione. La realtà è ben diversa: l’Italia resta una delle nazioni più libere al mondo, dove la stampa è indipendente, la magistratura è autonoma e la società civile è viva e attiva.
Chi veramente si preoccupa dei diritti umani dovrebbe avere il coraggio di guardare altrove, dove le libertà non sono minacciate da una legge su pene più severe per chi blocca il traffico, ma da regimi totalitari che annullano ogni forma di dissenso. Un po’ più di equilibrio e imparzialità farebbero bene anche a Civicus.