
Sul luogo in cui è stato ritrovato il corpo senza vita di Liliana Resinovich, “era tutto troppo in ordine”, un dettaglio che solleva “perplessità legate alla conservazione della scena del crimine”. Lo sostiene il medico legale Stefano D’Errico, consulente dell’associazione Penelope, che assiste la famiglia d’origine della donna. Secondo l’esperto, che ha firmato la consulenza medico-legale con cui i parenti si opponevano all’archiviazione del caso, ci sono ancora molti interrogativi irrisolti sulla vicenda della 63enne triestina, scomparsa il 14 dicembre 2021 e ritrovata senza vita il 5 gennaio 2022.
La nuova superperizia ha confermato che la donna è morta per soffocamento causato da un intervento esterno, come sostenuto dai familiari fin dall’inizio. Tuttavia, D’Errico invita a riflettere più a fondo sulle condizioni del corpo al momento del ritrovamento. “Una riflessione ulteriore andrebbe fatta sulla possibilità che il cadavere sia stato conservato a temperature basse in un ambiente diverso da quello dove è stato rinvenuto” ha dichiarato, sottolineando le anomalie legate allo stato di conservazione del corpo e dei sacchi in cui era contenuto.
Questa ipotesi contrasta con la perizia della dottoressa Cristina Cattaneo, secondo cui non ci sarebbero stati né congelamento né spostamenti del corpo. La conservazione del cadavere sarebbe stata determinata dalle basse temperature registrate nei giardini dell’ex Opp di Trieste in quell’inverno, con una massima di 1,6 gradi.
D’Errico, però, segnala anche possibili errori nella gestione post-mortem. “Fino all’8 gennaio, giorno della Tac, il corpo non è stato conservato in una cella frigorifera tra 0 e 4 gradi, ma in una camera fredda a 12 gradi”, ha spiegato, aggiungendo che questa condizione avrebbe accelerato i processi di decomposizione.