
“Il grado di civiltà di un Paese si misura osservando la condizione delle sue carceri”. Se si rileggono oggi le parole di Voltaire, di fronte alla realtà del sistema penitenziario italiano, la risposta per la civiltà italiana non può non essere di condanna. Con un’appendice tutt’altro che secondaria: lo stato di allarme della giustizia minorile, con numeri che portano oggi a inquadrare gli istituti di pena per non maggiorenni come incubatori per futuri delinquenti.
Partiamo dai dati: il totale dei detenuti in Italia è oltre il numero massimo ospitabile, mentre gli agenti di custodia sono sotto il livello minimo; medici, psicologi e operatori sanitari risultano in numeri esigui, tutt’altro che sufficienti. Ma neanche l’allarme sempre in funzione dei tanti suicidi dietro le sbarre – già 20 da inizio anno, erano stati 88 nel 2024, dato mai raggiunto prima – scuote chi muove le leve della macchina politica e amministrativa dello Stato. Più che manifesta la volontà della maggioranza di governo di non voler allentare questo nodo. La consolidata tecnica di riproporre e alimentare argomenti – con forti connotazioni ideologiche (non sempre notizie) – di distrazione di massa, come l’attacco al Manifesto di Ventotene, aiuta il governo a sgomberare dal tavolo di lavoro molti problemi di complicata soluzione. Sulle carceri quindi meglio prima svicolare, poi meglio reprimere che curare: porta più voti.
Seguendo questo schema è fin troppo elementare l’esempio della riforma della giustizia, stella polare del centrodestra: separazione delle carriere e provvedimenti disciplinari per i magistrati sì, ma poi si prende tempo – tantissimo – per umanizzare il sistema della detenzione. “Molte strutture carcerarie versano in condizioni fatiscenti e non garantiscono la disponibilità di servizi minimi, come acqua e riscaldamenti. Situazione che richiede provvedimenti immediati”: è la fotografia dell’ultimo rapporto della associazione Antigone (si occupa della tutela di diritti e garanzie nel sistema penale e penitenziario italiano).
Ancora i numeri. Al 17 marzo scorso risultavano 62.140 persone detenute, a fronte di una capienza regolamentare di 51.323 posti. Ne deriva un tasso di affollamento del 132,764%.
Ma è sul fronte del contrasto, e del conseguente (e auspicabile, costituzionalmente parlando) recupero di giovani che commettono reati che l’Italia mostra, o nasconde?, un lato oscuro. L’attuale governo dimostra spesso e volentieri di essere molto distratto da quanto accade dentro le celle. “Tra sovraffollamento, psicofarmaci, privatizzazione – rileva Antigone – la giustizia minorile è allo sbando”.
I dati che parlano: a ottobre 2022 si insedia il governo Meloni, le carceri minorili ospitano 392 persone. Un anno dopo l’entrata in vigore del tanto sbandierato decreto legge “Caivano”, i ragazzi nelle carceri minorili erano 569. E oggi? Per una capienza degli istituti per minori di 559 posti, i giovani reclusi al 9 marzo erano 623. Risultato: sovraffollamento pari al 111,45% (+7,92% rispetto a marzo 2024).
Minorenni in carcere per reati quasi sempre minori si ritrovano ad affrontare situazioni di difficoltà che non alimentano speranze di un loro recupero sociale. “Le condizioni di detenzione nella maggioranza degli istituti sono critiche: sono stati aggiunti materassi per terra negli istituti di Torino, Milano e Bari. A Roma i ragazzi hanno trascorso tutto l’inverno senza riscaldamento. Anche il personale è allo stremo”.
In termini semplici, si tratta di un’emergenza. Come la affronta l’amministrazione penitenziaria che risponde al governo Meloni?
“La soluzione proposta dal governo è il trasferimento in una sezione ad hoc del carcere per adulti di Bologna di una settantina di giovani adulti, in attesa dei quattro nuovi Ipm a Lecce, L’Aquila, Rovigo e S. Maria Capua Vetere”. Ma tutte le norme internazionali prescrivono che minori e adulti devono essere rigorosamente separati, se non si vuole costruire una fabbrica di delinquenti. “L’approccio educativo che aveva caratterizzato il sistema della giustizia minorile italiano, un modello a livello europeo, è ormai superato”.
Come migliorare le condizioni detentive e garantire il rispetto dei diritti fondamentali dei detenuti: questo il nodo che uno Stato civile deve sciogliere.
Nell’agosto 2024, il Parlamento ha convertito in legge il cosiddetto “decreto carceri”, che prevede l’assunzione di mille agenti penitenziari entro il 2026, oltre a semplificazioni burocratiche per riconoscere ai detenuti aventi diritto sconti di pena. Poi il decreto facilita l’accesso a percorsi di riabilitazione e reinserimento sociale, in strutture alternative al carcere, per persone con tossicodipendenze o disturbi psichici.
Può bastare? No: lo scorso 20 marzo, in una seduta straordinaria alla Camera (semideserta) chiesta dalle opposizioni, il centrodestra ha approvato la mozione – prima firma, Carolina Varchi di Fratelli d’Italia – che impegna il governo a “escludere generalizzati provvedimenti come amnistia e indulto”, a potenziare le misure contro le rivolte penitenziarie, a contrastare e prevenire i suicidi in carcere potenziando la rete di assistenza psicologica, a costruire nuovi istituti penitenziari contro il sovraffollamento”.
Rispetto alle detenute madri poi la maggioranza si è divisa. Forza Italia e Fratelli d’Italia sarebbero pronti a rivedere l’articolo 15 del decreto Sicurezza, che prevede come facoltativo il rinvio della pena per donne incinte e madri con figli fino a un anno; non la Lega, che non apre a nessuna modifica all’attuale versione già votata alla Camera.
Avverte ancora Antigone: “Se dovesse essere approvato il delitto di rivolta penitenziaria, nel disegno di legge, calcoliamo che ci sarebbero nuove migliaia di anni di carcere che andrebbero a colpire i detenuti che protestano pacificamente, in forma nonviolenta”.
E questo mentre “in tante carceri d’Italia si chiudono attività culturali, si disincentivano i volontari ad avviare iniziative sociali, si imbavaglia l’entusiasmo della società civile esterna, laica o cattolica”.
Di fronte a questa mancanza di visione, servirebbe “un messaggio forte e autorevole anche a tutto il personale, ridisegnando la funzione costituzionale dello stesso”.
Quale voce più autorevole del presidente della Repubblica? Nel tradizionale messaggio di fine anno, Sergio Mattarella aveva sottolineato come l’alto numero di suicidi in carcere “è indice di condizioni inammissibili”, dovendo “il rispetto della dignità di ogni persona, dei suoi diritti, essere garantito anche per chi si trova in carcere”.
Messaggio che, evidentemente, a palazzo Chigi non è ancora arrivato.