
Mercoledì 26 marzo 2025, ieri: cronache marziane di un’agenda politica nazionale con dentro tutto e il suo contrario. Ovvero: c’era una volta la politica come ricerca delle soluzioni ai problemi comuni, l’arte del compromesso e dell’incontro tra la cittadinanza e lo Stato. In pillole, la politica come mezzo per governare la società. Quante aspettative possono avere gli italiani perché questo si avveri? A lasciar parlare i fatti, non sembra che si vada in quella direzione.
Roma, mattina. In Parlamento il ministro della Giustizia, Carlo Nordio (Forza Italia), ha paragonato l’opposizione all’Inquisizione, per sfoderare poi una serie di attacchi a tutto campo. Nel mirino: Corte penale internazionale e Corte d’Appello di Roma, autori di errori commessi a suo danno nella vicenda del libico Almasri, arrestato e poi liberato con tanto di premio (volo con aereo di Stato per tornare a casa). Con l’usuale tono accigliato e non costruttivo, il ministro ha stroncato le opposizioni per aver scelto “non la dialettica urbana, civile, pacata, ma dei toni sempre esasperati e talvolta offensivi”. Giocava in difesa, Nordio, per respingere la mozione di sfiducia firmata da Pd, M5S, Avs (parte), Italia Viva e +Europa; mentre Azione è uscita dall’aula al momento del voto. Scontato: la Camera ha respinto la sfiducia con 215 no e 119 sì.

A Nordio piace vincere facile? Certo, ma non solo. “Non sono un passacarte. Io sospetto – ha detto in Aula – che dietro questi attacchi smodati ci sia il tentativo di fermare quella che, per noi, è la madre di tutte le riforme: la separazione delle carriere tra pubblici ministeri e giudici e l’introduzione del sorteggio al Csm. La riforma andrà avanti e più saranno violenti, impropri e sciatti gli attacchi, più forte la nostra determinazione. E se voi farete del vostro peggio, noi faremo del nostro meglio”.
Milano, sempre in mattinata. La ministra del Turismo, Daniela Santanché (Fratelli d’Italia) prende tempo per tentare di evitare il giudizio sulle accuse che pendono sul suo operato da manager. Il Tribunale ha rinviato al 20 maggio 2025 l’udienza preliminare che la vede indagata per la presunta truffa aggravata ai danni dell’Inps (l’accusa: fondi Covid ai dipendenti dell’azienda Visibilia, che erano al lavoro e non in cassa integrazione). Decisione anche qui scontata, dopo che il nuovo legale di Santanché, l’avvocato Salvatore Pino da poco nominato al posto di un suo collega, ha chiesto tempo (deve poter studiare gli atti dell’inchiesta). Una “manovra dilatoria” della ministra per allontanare il giudizio (e le possibili dimissioni dal Governo)? “E’ una semplice richiesta di rinvio come in mille altri processi” ha risposto l’avvocato Pino. Aggiungendo che “non credo che un mese in più cambi qualcosa”. Per lui no, ma la Procura di Milano inizia a parlare del rischio di prescrizione del giudizio prima di arrivare alla sentenza definitiva.
Roma, pomeriggio. E’ la volta della ministra del Lavoro, che respinge le critiche sulla sua laurea parlando di “dossieraggi costruiti su di me perché abbiamo raggiunto il record di occupazione”. Marina Elvira Calderone (Indipendente) non ci sta: lei la finta laureata della domenica? In Parlamento ne ha da dire: “I miei titoli di studio sono pienamente legittimi. Contro di me dossieraggi e diffamazione per screditare l’azione del governo Meloni”. Il dossier sarebbe quello confezionato da Il Fatto Quotidiano sulla sua laurea triennale e sulla specializzazione in Economia. Secondo il giornale diretto da Marco Travaglio per quei titoli, conseguiti all’università privata Link Campus tra novembre 2012 e luglio 2016, non risulterebbero i documenti delle sessioni di esame. “Tenuti tra l’altro alla domenica, quando la Link campus è chiusa”.
Dopo che Pd e M5S ne hanno chiesto conto alla ministra, è arrivata la sua replica di fuoco: “E’ chiaro che non sopportate i risultati ottenuti da questo governo, che fa crescere l’occupazione e calare la disoccupazione. Dati inconfutabili – ha detto Calderone – che non ci vengono perdonati dopo che ho tolto il Reddito di cittadinanza, e quindi non vi resta che l’attacco personale”.
Fin qui i fatti salienti di una pagina di quella politica che dovrebbe, o quanto meno tentare, di far stare meglio gli italiani; specificatamente in una fase mondiale di rilevanza storica, che tra post-verità e verità alternative rende sempre più complicato avere un rapporto se non paritario, quanto meno di sufficiente comprensione tra potenti di turno e cittadini. Potenti che nella fattispecie sono tre ministri della Repubblica italiana, nel pieno del loro mandato istituzionale.
Roma, nella stessa giornata di ieri viene pubblicato dall’Istat il report da cui emerge che un italiano su quattro è a rischio di povertà: lo attesta l’indagine su “Condizioni di vita e reddito delle famiglie”. L’istituto di statistica evidenzia che il 23,1% degli italiani (circa 13 milioni e mezzo) rischia di esere in povertà (nel 2023 la quota era del 22,8%). In particolare, rileva l’Istat, nel 2024 ad aumentare è stata la percentuale di persone che vivono in famiglie a bassa intensità di lavoro (9,2% rispetto all’8,9% dell’anno precedente). L’analisi relativa spinge a rilevare che l’aumento degli occupati trova linfa dal lavoro precario, quello discontinuo e poco retribuito.
Ma non solo: l’inflazione torna a far male. Se nel 2023 il reddito medio delle famiglie (a quota 37.511 euro) è aumentato in termini nominali (+4,2%), emerge però che si è ridotto in termini reali (-1,6%). E quindi sono aumentate le disuguaglianze. In termini di raffronto con i paesi europei, l’Italia è al quinto posto per rischio di povertà ed esclusione sociale. In parole pratiche, queste persone non possono permettersi un pasto caldo o far fronte a una spesa imprevista, avendo un reddito troppo ridotto per essere al riparo dai rischi di indigenza.
Chissà se anche questi dati sugli italiani sempre più impoveriti accenderanno un ulteriore sospetto – o di dossieraggio – nella ministra del Lavoro. Appuntamento a domani.