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Assolda un sicario per “punire” il figlio gay: “È un chirurgo, spezzagli le mani”

Pubblicato: 29/03/2025 09:18

Aveva commissionato a un sicario l’aggressione del figlio, un chirurgo, con l’intento di rompergli le dita e impedirgli così di continuare a svolgere la professione medica. Il motivo, secondo l’accusa, era il rifiuto da parte dell’uomo – oggi ultra-settantenne – dell’omosessualità del figlio. Ora il Tribunale civile di Asti ha stabilito, per la prima volta in Italia, l’esistenza di un danno biologico causato da atteggiamenti omofobici all’interno della famiglia. «Per la prima volta in Italia io e il mio compagno abbiamo dimostrato un danno biologico connesso a un atteggiamento omofobico. Dal punto di vista medico-legale è un grande traguardo», ha dichiarato il medico, intervistato da La Stampa.

La sentenza

La vittima è Fabrizio Obbialero, chirurgo cinquantenne legato da anni a un altro uomo. Dopo anni di minacce, insulti, atti persecutori e intimidazioni, ha deciso di portare il caso anche in sede civile. In sede penale, il padre aveva già patteggiato due anni di reclusione per maltrattamenti. Il giudice ha riconosciuto una invalidità permanente del 9%, causata dallo stress prolungato derivante dagli abusi e dalle violenze psicologiche. La richiesta di risarcimento, presentata con l’avvocato Maximiliano Bruno, è stata parzialmente accolta, ma con un indennizzo dal forte valore simbolico e giuridico.

Gli abusi e il contesto

La vicenda è cominciata anni fa, quando il medico ha fatto coming out con la madre, gravemente malata, che ha accolto la notizia con comprensione. La reazione del padre, invece, ha dato inizio a una lunga escalation di ostilità: lo ha diffamato online, gli ha impedito di partecipare agli eventi familiari e ha infine organizzato delle aggressioni fisiche. «Mio padre non voleva che i parenti vedessero la mia “frociaggine”. Usò proprio questa parola, accompagnandola ad altri insulti», ha raccontato il medico.

Il ruolo dei sicari

Le indagini hanno rivelato che il padre aveva contattato due giovani. Il primo avrebbe dovuto aggredire fisicamente il figlio per comprometterne la capacità lavorativa, ma avrebbe poi desistito. Il secondo ha invece portato a termine un pestaggio nei confronti del compagno della vittima. Un episodio confermato anche da una telefonata intercettata: poco prima dell’aggressione, l’uomo avrebbe chiesto alla figlia: «Ha la faccia gonfia?», in riferimento al compagno del fratello. Solo dopo l’aggressione la frase ha trovato pieno significato.

La richiesta di riconoscere un legame tra il clima familiare ostile e il peggioramento della salute della madre – successivamente deceduta – non è stata accolta dal giudice.

«Il rapporto con mio padre è finito da tempo. Comunichiamo solo tramite gli avvocati. Ma oggi so di non essere solo. Questa sentenza può aiutare altri a uscire dal silenzio», ha dichiarato il medico.

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