
Il riarmo dei Paesi Nato potrebbe non essere più solo una proiezione strategica, ma una concreta priorità. Lo scenario si fa pressante dopo le parole del ministro della Difesa Guido Crosetto, intervenuto al congresso di Azione a Roma. Al centro del suo discorso, l’imminente vertice Nato a L’Aja e le pressioni che potrebbero giungere direttamente dagli Stati Uniti. Secondo Crosetto, infatti, Donald Trump, che a giugno parteciperà al summit da presidente rieletto, potrebbe avanzare una richiesta chiara: “Investire almeno il 5% del Pil in Difesa per colmare il divario e diventare autosufficienti”. Una soglia che lo stesso Crosetto definisce fuori portata, anticipando che il segretario generale Mark Rutte potrebbe orientarsi su un più realistico 3,5%.
Italia ancora lontana dagli obiettivi
Una soglia comunque lontana per l’Italia, che oggi si attesta all’1,54%. Nei piani illustrati da Crosetto a novembre in commissione Difesa, il bilancio della Difesa dovrebbe crescere solo gradualmente: 1,57% nel 2025, 1,58% nel 2026 e 1,61% nel 2027. Dati che restano distanti perfino dall’obiettivo del 2% stabilito dalla Nato nel 2014 dopo l’annessione della Crimea.
Giorgetti e il nodo del bilancio
Il nodo più critico resta la sostenibilità finanziaria. Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, già alle prese con un bilancio pubblico in tensione, ha dichiarato che non si può finanziare la Difesa a scapito della sanità o dei servizi pubblici. Il rischio è concreto: per raggiungere il 3,5% del Pil, l’Italia dovrebbe trovare almeno 30 miliardi di euro l’anno, una cifra pari a quanto mobilitato dall’intera legge di Bilancio.
Giorgetti ha avanzato la proposta di un fondo di garanzia europeo da 16,7 miliardi in grado di mobilitare fino a 200 miliardi di investimenti industriali, puntando a convogliare capitali privati per alleggerire il peso sugli Stati. Anche Giorgia Meloni, intervenuta in Parlamento, ha chiesto lo scorporo delle spese militari dal Patto di stabilità e ha auspicato un modello simile all’InvestEU per sostenere il riarmo con garanzie europee e il coinvolgimento dei privati.
L’Europa si riarma: ma a che prezzo?
Il quadro si complica anche a livello comunitario. Il piano Readiness 2030, approvato il 12 marzo dal Parlamento europeo, prevede una clausola di salvaguardia che consente agli Stati membri di indebitarsi oltre i limiti previsti per finanziare la spesa militare. Ma la clausola ha una durata di quattro anni, dopodiché le spese dovranno essere coperte senza deficit aggiuntivo.
Secondo l’ultimo report della Nato, solo la Polonia supera oggi il 3,5% del Pil, con una spesa pari al 4,1%, mentre la media dell’Alleanza si attesta al 2,71%. In Italia, intanto, si lavora al Documento di economia e finanza, atteso in Parlamento entro il 10 aprile. Sarà quello il primo banco di prova per capire se, e come, l’esecutivo potrà iniziare a orientare le risorse verso un obiettivo che appare, oggi, più strategico che mai, ma anche politicamente e finanziariamente esplosivo.