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Zaray, morta a 12 anni in ospedale: una studentessa poteva salvarla. Zittita

Pubblicato: 30/03/2025 15:54

Una morte evitabile. Così appare, oggi, la morte della piccola Zaray Coratella, 12 anni, avvenuta durante un intervento chirurgico al femore presso l’ospedale pediatrico Giovanni XXIII di Bari. A distanza di quasi otto anni, emergono nuovi dettagli su ciò che accadde in quella sala operatoria il 19 settembre 2017. A ricostruirli è Elisiana Lovero, oggi anestesista a Monopoli, ma allora giovane specializzanda al termine del proprio percorso formativo. Fu lei, quella mattina, a intuire per prima che la paziente stava manifestando sintomi compatibili con ipertermia maligna, una rara reazione avversa all’anestesia.

Secondo quanto raccontato dalla dottoressa in una recente intervista, fu proprio nel momento cruciale della crisi che venne gentilmente invitata a uscire dalla sala operatoria. Il motivo: le sue ripetute interruzioni, con cui cercava di attirare l’attenzione dell’équipe su parametri vitali anomali, avrebbero infastidito il chirurgo. Ma il tempo, in questi casi, è determinante.

Il farmaco salvavita non c’era

La diagnosi di Lovero fu chiara: ipertermia maligna. Per affrontarla esiste una sola terapia efficace: il dantrolene, farmaco salvavita obbligatorio per legge in ogni sala operatoria. Ma, come lei stessa riferisce, il dantrolene non era disponibile. Non subito, almeno. La sua richiesta di prepararlo venne accolta con una risposta gelida: «Se vuole può ordinarlo». Quando finalmente il farmaco arrivò, forse da un altro ospedale, era troppo tardi. La crisi aveva già oltrepassato il punto di non ritorno. Zaray morì sotto i ferri, in quello che doveva essere un intervento di routine.

Apparecchiature malfunzionanti

Il racconto dell’anestesista evidenzia anche un quadro allarmante sul piano delle attrezzature. Il termometro in sala operatoria era difettoso e si ricorse a uno a mercurio, inadeguato per una situazione d’emergenza. L’elettrocardiografo, strumento essenziale, risultava non funzionante. Una catena di errori e negligenze che, stando a quanto emerso nei verbali, ebbe un peso diretto sull’esito dell’operazione.

Un processo, poche risposte

Per la morte della dodicenne, un medico ha patteggiato 14 mesi, un altro è stato assolto. Nessuna responsabilità accertata per chi avrebbe dovuto garantire la disponibilità del farmaco. Oggi Lovero, che allora aveva già intuito tutto, si chiede ancora: «Se mi avessero ascoltata subito, quante vite sarebbero cambiate?» Una domanda che non può avere risposta, ma che pesa come un macigno su un’intera comunità medica.

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