
Nel Regno Unito, un bambino di tre o quattro anni è stato espulso da un asilo statale per presunti abusi contro l’orientamento sessuale e l’identità di genere. È una notizia che lascia attoniti, non solo per l’età del minore coinvolto, ma per il significato culturale e politico che questa vicenda porta con sé.
La domanda sorge spontanea: a che punto è arrivato il nostro senso di giustizia se un bambino che non ha ancora imparato a leggere può essere etichettato e punito come se fosse un adulto consapevole delle sue azioni?
L’educazione travestita da repressione
L’educazione dovrebbe servire a formare, non a condannare. È lecito punire un comportamento violento, ma è sensato e proporzionato espellere un bambino dell’asilo con l’accusa di transfobia o omofobia? A quell’età si ripetono parole sentite, si imitano comportamenti, spesso senza comprenderli. Si agisce per impulso, non per ideologia.
Quando una scuola sceglie l’espulsione come risposta a un problema comportamentale infantile, sta rinunciando al suo compito primario: educare.
Un sistema scolastico che abdica
Secondo i dati pubblicati dal Telegraph, 10 bambini sotto i sette anni sono stati espulsi in un solo anno per motivi analoghi. È un numero che non può essere ignorato e che solleva un’altra domanda: cosa stiamo insegnando ai nostri figli? Che chi sbaglia, chi è “inadeguato”, va allontanato, espulso, isolato?
Il rischio è di costruire una scuola che non corregge, ma cancella, che non guida ma giudica. Invece di intervenire con strumenti pedagogici adeguati, si risponde con sanzioni da adulti, trasformando l’infanzia in un tribunale senza appello.
La cultura del sospetto a misura di infanzia
C’è poi un altro aspetto inquietante: la lettura ideologica dei comportamenti dei bambini. È davvero credibile che un bambino di quattro anni possa agire con consapevole “odio transfobico”? O non è più probabile che abbia espresso qualcosa che non comprende, magari appreso in un contesto familiare, sociale o mediatico?
Applicare categorie dell’etica adulta al comportamento dei bambini significa trasformare ogni gesto in un potenziale reato, e ogni parola in una colpa. Questo non è educazione: è la proiezione delle paure degli adulti sui giochi dei bambini.
La giusta causa perseguita nel modo sbagliato
Chi scrive non mette in discussione la necessità di tutelare ogni individuo, a qualunque età, da discriminazioni di genere o orientamento sessuale. Ma proprio in nome di questa causa occorre non trasformare la lotta alla discriminazione in una nuova forma di intolleranza.
Educare all’inclusione significa creare contesti che favoriscano la comprensione reciproca, non generare nuovi emarginati. E un bambino espulso a quattro anni non sta imparando il rispetto: sta solo imparando di essere sbagliato.