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Alemanno in carcere: «Così resisto in una cella fatiscente. Chi si lascia andare diventa un morto vivente»

Pubblicato: 02/04/2025 12:57

«Ogni attività all’interno del carcere è molto partecipata dai detenuti, che cercano non solo un modo per passare il tempo, ma anche occasioni per sperare in una vita migliore, sia durante che dopo la detenzione. C’è voglia di prendere parte, anche se non tutti sono coinvolti: alcuni si lasciano andare, diventando ombre di se stessi. La reclusione è un’esperienza intensamente comunitaria, ed è quindi insensato sprecarla». Questo è uno dei passaggi più toccanti nel diario di Gianni Alemanno dal carcere. L’ex sindaco di Roma, detenuto a Rebibbia da oltre 90 giorni, continua a fare politica seguendo le normative previste, mantenendo aggiornamenti attraverso la sua pagina Facebook, dove pubblica contenuti per Indipendenza, il suo partito sovranista «rossobruno». Recentemente, ha fatto pubblicare un post in cui esprime la sua solidarietà a Marine Le Pen, dopo la sua esclusione dalle elezioni presidenziali francesi, ribadendo che «la battaglia sovranista andrà avanti».

L’ex primo cittadino della capitale e ex ministro è stato arrestato la notte del 31 dicembre scorso per aver violato le restrizioni imposte dai magistrati di sorveglianza. In breve, era stato condannato a un anno e dieci mesi e affidato ai servizi sociali, ma aveva violato le condizioni, spostandosi per l’Italia e sostenendo impegni che si sono rivelati infondati. Alemanno era stato condannato per traffico di influenze illecite nell’ambito della maxi indagine «Mondo di mezzo». I giudici gli avevano concesso l’affidamento alla comunità romana di Suor Paola, una sua amica, divenuta nota in tv anche per la sua fede laziale, che è purtroppo scomparsa ieri all’età di 77 anni.

Ora l’ex sindaco, dopo i tentativi infruttuosi dei suoi legali di farlo uscire dal carcere, ha accettato la prospettiva di rimanere a Rebibbia per almeno un altro anno. Attraverso Facebook, racconta la sua vita in prigione: «Tra i compagni di cella si condivide ogni cosa, dalle provviste alimentari ai lavori quotidiani, dai ricordi alle emozioni – scrive. Ai detenuti più anziani in termini di permanenza viene riconosciuto il rispetto per le regole comuni, a prescindere dal loro background sociale o educativo. Queste regole, pur autogestite, sono rigorose: si occupano della pulizia, della preparazione dei pasti e del lavaggio dei piatti».

La quotidianità in carcere non è facile: «Ogni detenuto lavora continuamente per migliorare le condizioni di vita – scrive ancora sui social –, ma le celle sono fatiscenti: ci sono sei brande a castello, un bagno che si trova nella stessa stanza dove si cucina, un lavandino senza acqua calda, e niente aria condizionata quando fa caldo». Alemanno racconta anche che si trova nel braccio meno degradato di Rebibbia, il G8, risalente agli anni Sessanta. Spiega poi come vengono distribuite le mansioni culinarie: «In ogni cella c’è almeno un detenuto che, grazie alla sua esperienza in altre carceri, si improvvisa cuoco, cucinando su fornelli a gas quello che può essere riciclato dal vitto quotidiano o acquistato come sopravvitto». Infine, loda i compagni di carcere del Sud Italia: «I risultati culinari, soprattutto nelle celle con detenuti di origine calabrese, sono decisamente migliori rispetto alla media delle nostre case, dove ormai prevale l’abitudine al cibo d’asporto».

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