
Le già fragili prospettive economiche dell’Italia sono ora fortemente condizionate dalle tariffe imposte da Trump. Il loro impatto dipenderà dal valore delle tariffe, dai prodotti colpiti, e dall’incertezza che inevitabilmente influenzerà gli investimenti delle aziende e i consumi dei cittadini. In uno scenario ottimista, l’effetto potrebbe limitarsi a qualche decimale del Pil, ma nel peggiore dei casi potrebbe superare il mezzo punto, annullando così le previsioni di crescita per il 2025 e 2026, con il rischio di due anni di stagnazione. I dazi potrebbero danneggiare settori cruciali come la meccanica, la farmaceutica e l’alimentare, ma anche quelli già in difficoltà come l’automotive. La ricerca di nuovi mercati, seppur lunga e ardua, attenuerebbe solo parzialmente gli effetti.
Il rischio di stagnazione
L’Italia, insieme alla Germania, è uno dei Paesi europei più vulnerabili ai dazi imposti dagli Stati Uniti. Gli Usa sono il secondo mercato di esportazione per l’Italia e quello che ha registrato la crescita maggiore post-pandemia, con circa 65 miliardi di euro di vendite, pari al 3% del Pil. Tuttavia, l’esposizione è anche indiretta, dato che molte imprese italiane vendono beni intermedi ad altre aziende che poi li esportano negli Stati Uniti. Secondo Confindustria, il mercato americano rappresenta circa il 7% della produzione industriale italiana. Quanto di questa produzione potrebbe andare perduta dipende dalle modalità e dalla durata dei dazi. Secondo Lorenzo Forni, capo economista di Prometeia Associazione, l’impatto sarebbe limitato se i dazi fossero mirati, con una riduzione di uno o due decimi del Pil. Tuttavia, in caso di escalation, gli effetti potrebbero essere molto più pesanti. Se i dazi venissero applicati su tutti i beni, gli analisti di Goldman Sachs prevedono un impatto negativo di sette decimi sul Pil europeo. Per l’Italia, questo equivarrebbe a una stagnazione.
Settori più colpiti
Molti dei principali prodotti esportati dall’Italia verso gli Stati Uniti, come macchinari industriali, farmaci, auto, vino, parmigiano e pelletteria, rappresentano simboli del made in Italy. Per alcuni di questi, come i farmaci e gli alcolici, la dipendenza dal mercato statunitense è particolarmente forte, dato che gli Usa sono il primo mercato mondiale. L’effetto dei dazi dipenderà da vari fattori: in generale, i prodotti ad alto valore aggiunto, tecnologici o di marca sono più difficili da sostituire per gli Stati Uniti, e le aziende potrebbero tentare di trasferire l’onere dei dazi sui consumatori. I prodotti industriali sono più facili da sostituire rispetto ai beni di consumo. Le piccole imprese, meno avanzate e meno diversificate, sono quelle che rischiano di subire i danni maggiori. Settori come l’automotive e l’acciaio, già in difficoltà, vedrebbero aggiungersi i dazi a una situazione economica complessa.
Impatto sui prezzi e inflazione
Un altro effetto dei dazi riguarderà i prezzi. Se molti prevedono un aumento dei prezzi negli Stati Uniti, l’Europa potrebbe vedere un incremento dell’inflazione anche in caso di ritorsioni. Il governatore della Banca d’Italia, Fabio Panetta, ha sottolineato che l’incertezza richiede prudenza nel decidere il taglio dei tassi. Nel mese di marzo, i prezzi in Italia sono aumentati, spinti dall’energia. In ogni caso, anche se la situazione dovesse peggiorare, gli esperti si aspettano un impatto limitato e temporaneo in Europa, che non comprometterebbe il ritorno all’inflazione controllata. Goldman Sachs prevede un aumento di tre decimi, mentre Christine Lagarde, presidente della BCE, stima un impatto fino a cinque decimi. Tuttavia, nel medio termine, l’effetto depressivo del protezionismo sulla crescita potrebbe ridurre la domanda, mentre l’offerta aumenterebbe grazie all’arrivo sul mercato europeo di beni “respinti” dalla dogana americana. Il risultato sarebbe un’inflazione più bassa (e forse anche tassi più bassi). Negli Stati Uniti, invece, la stagnazione potrebbe accompagnarsi a una crescita dell’inflazione, creando uno scenario problematico.
Le speranze: nuovi mercati e la risposta europea
Cosa fare in questa situazione? Mentre l’Europa cercherà di gestire le trattative con gli Stati Uniti, il governo italiano ha elaborato una strategia di espansione verso nuovi mercati. Tra questi, ci sono economie mature come il Giappone, e mercati emergenti come gli Emirati Arabi Uniti, il Vietnam e l’India. Tuttavia, si tratta di una strada lunga e complessa, che solo in un’ipotesi ottimistica (con nuovi trattati di libero scambio a livello europeo) potrebbe compensare parzialmente la perdita del mercato americano. La reazione dell’Europa potrebbe, secondo Forni, ridurre l’impatto negativo della guerra commerciale. La Germania, ad esempio, ha aumentato gli investimenti pubblici, e i benefici si vedranno nei prossimi anni, uniti agli effetti del piano di riarmo europeo. A un certo punto, l’amministrazione Trump potrebbe accorgersi che i dazi non sono efficaci nel ridurre il deficit commerciale e la domanda sarà: cosa farà a quel punto?