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Emanuela Orlandi, il nodo dei racconti: versioni in contrasto tra le compagne di musica

Pubblicato: 02/04/2025 20:28

Nel cuore dell’inchiesta parlamentare sul caso Emanuela Orlandi, il dettaglio cruciale delle testimonianze divergenti delle compagne di scuola di musica riemerge con forza. A oltre quarant’anni dalla scomparsa della “ragazza con la fascetta”, avvenuta il 22 giugno 1983, la Commissione bicamerale indaga ora sul punto esatto in cui Emanuela fu vista per l’ultima volta.

Giovedì 3 aprile 2025, tocca a Sabrina Calitti, compagna di corso di flauto di Emanuela al Pontificio Istituto di Musica Sacra a Sant’Apollinare, fornire la sua deposizione. La sua versione, già contenuta in un verbale secretato del 29 luglio 1983, presenta elementi in netto contrasto con quella di un’altra testimone chiave: Raffaella Monzi.

Calitti affermò all’epoca: «L’ultima volta che ho visto Emanuela è stato quando ci siamo salutate sul portone della scuola». Proseguiva poi raccontando di aver attraversato corso Rinascimento, dove vide «alcune ragazze della scuola di musica», ma non Emanuela. Interpellata sulla certezza del suo ricordo, rispose con decisione: «Sì, di questo sono sicura».

Una scena completamente diversa da quella descritta da Monzi, che il giorno prima, il 28 luglio 1983, aveva verbalizzato di aver camminato con Emanuela proprio verso la fermata dell’autobus, e di averle parlato della strana proposta di lavoro per la Avon. «Arrivate alla fermata, vidi arrivare il bus 26 e lei mi chiese: ‘Che faccio, lo prendo o no?’», raccontava Monzi. Emanuela, secondo la sua versione, non salì sul mezzo. Raffaella sì.

Queste due testimonianze inconciliabili sono oggi al vaglio della commissione, che cerca di comprendere chi mentì, chi si confuse, o chi omise. In gioco non c’è solo la ricostruzione degli ultimi minuti di Emanuela, ma la credibilità di versioni che, per decenni, sono state pilastri investigativi.

Sabrina Calitti, inoltre, fu tra le ragazze cui Emanuela confidò l’offerta sospetta legata alla Avon, proprio come Raffaella. Un ulteriore filo rosso tra i racconti, che aumenta la complessità del caso. Le parole delle due testimoni – rese a distanza di un solo giorno – contengono convergenze inquietanti, ma anche divergenze temporali e di contesto che ora più che mai potrebbero fare la differenza.

Sul tavolo dell’inchiesta non ci sono solo memorie affaticate dal tempo, ma la possibilità concreta che elementi essenziali del mistero Orlandi siano rimasti occultati o distorti. E forse, proprio in queste zone d’ombra delle testimonianze, si nasconde la chiave per spezzare un silenzio lungo oltre quattro decenni.

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