
Donald Trump parlerà questa sera. E lo farà, come sempre, con la voce dell’America che si chiude, che si difende, che combatte con i dazi anziché con il dialogo. Annuncerà nuove tariffe contro l’Europa, ma a pagare il prezzo più alto sarà ancora una volta l’Italia.
Il problema non è Bruxelles, che pure ha le sue colpe. Il problema è chi in Italia continua a illudersi che Trump sia un alleato. Chi lo chiama “amico” solo perché mostra i muscoli, chi si ostina a scambiare il nazionalismo americano per un fronte comune contro le élite globali. È una mistificazione pericolosa, che oggi si scontra con i numeri e i fatti.
Trump colpisce dove l’Italia è più forte: moda, cibo, auto, farmaceutica. Colpisce il nostro export, colpisce le nostre imprese, colpisce il lavoro. È un attacco diretto al cuore produttivo del nostro paese. Non serve dire “America First” in italiano: i dazi americani colpiranno migliaia di piccole e medie imprese del Nord, del Centro, del Sud. A casa nostra.
E mentre lui parla di difesa dell’industria americana, i nostri sovranisti applaudono. Applaudono un presidente che ci tratta da concorrenti da schiacciare, non da partner da rispettare. È l’ennesima contraddizione di una politica che predica l’indipendenza ma si inginocchia davanti ai potenti di turno.
La destra italiana che si dice patriottica deve scegliere: con chi sta davvero? Con chi difende gli interessi del nostro sistema produttivo o con chi li baratta per un selfie a Mar-a-Lago? Le parole contano poco, contano i dazi. Contano i posti di lavoro che rischiano di sparire.
Trump è il presidente degli Stati Uniti. Fa gli interessi degli americani. Ma chi fa quelli degli italiani?