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Taiwan, tensione alle stelle: Xi Jinping muove le truppe e l’America minaccia Pechino

Pubblicato: 02/04/2025 10:06

L’ombra della guerra si allunga su Taiwan. Il Partito Comunista Cinese ha ormai reso chiaro il proprio obiettivo: riportare l’isola ribelle sotto il controllo di Pechino, con ogni mezzo necessario. La diplomazia vacilla, mentre il rumore dei jet militari e delle esercitazioni navali cinesi risuona sempre più vicino alle coste di Taipei.

Con l’annuncio di nuove manovre militari nello Stretto di Taiwan, il Dragone ha lanciato un segnale inequivocabile al mondo intero. Pechino ha definito l’operazione un test per valutare “le capacità delle truppe nel blocco e nel controllo dell’area e negli attacchi di precisione su obiettivi chiave”. Una formula che, in termini strategici, equivale a un’esercitazione di guerra lampo per strangolare economicamente l’isola e neutralizzare la sua difesa.

Il cuore del problema: i microchip che governano il mondo

Se Taiwan è il punto nevralgico della geopolitica mondiale, non è solo per la sua posizione strategica tra il Mar Cinese Meridionale e il Pacifico. L’isola è la capitale mondiale della produzione di semiconduttori avanzati, il vero petrolio del XXI secolo.

La Taiwan Semiconductor Manufacturing Company (TSMC) da sola produce oltre il 90% dei microchip più sofisticati utilizzati nei settori critici: dalle telecomunicazioni all’intelligenza artificiale, dall’industria bellica all’automotive. Senza i semiconduttori taiwanesi, l’economia globale si fermerebbe, e Pechino lo sa bene.

Per la Cina, controllare Taiwan significa dominare il futuro della tecnologia globale ed esercitare un’enorme pressione sul mondo intero. Per gli Stati Uniti e i loro alleati, perdere l’isola significherebbe cedere a Pechino il monopolio dell’innovazione tecnologica e, di conseguenza, la supremazia economica e militare.

Trump: “Non permetteremo alla Cina di cambiare lo status quo con la forza”

Di fronte a questa escalation, Washington non resta a guardare. Donald Trump, tornato alla Casa Bianca con una posizione ancora più aggressiva nei confronti della Cina, ha ribadito che gli Stati Uniti non accetteranno un cambiamento forzato dello status quo.

“Gli Stati Uniti sostengono la pace e la stabilità nello Stretto di Taiwan e si oppongono a qualsiasi tentativo di alterare unilateralmente l’attuale equilibrio, con la forza o con la coercizione”, ha dichiarato il Dipartimento di Stato. Un messaggio che conferma come il sostegno americano a Taipei resti solido, ma che al tempo stesso non garantisce un intervento diretto in caso di conflitto.

Il dilemma americano è chiaro: un’eventuale guerra per Taiwan potrebbe trasformarsi in una catastrofe globale, con conseguenze economiche e militari devastanti. Ecco perché Pechino continua a testare i limiti della deterrenza occidentale, puntando a una strategia di logoramento che metta in difficoltà Washington senza scatenare un conflitto aperto.

La corsa contro il tempo: il nodo del 2027

Molti analisti militari ritengono che la finestra temporale per una possibile invasione cinese di Taiwan sia il 2027, anno in cui Xi Jinping punta a completare la modernizzazione dell’Esercito Popolare di Liberazione. Fino ad allora, Pechino potrebbe intensificare la pressione militare e diplomatica per forzare Taipei alla resa senza combattere. Ma se Taiwan resisterà e gli Stati Uniti continueranno a rafforzare il suo arsenale, lo scenario di un conflitto diretto diventerà sempre più plausibile.

Il mondo intero ha gli occhi puntati su Taiwan. Non è solo una questione di sovranità nazionale, ma di dominio tecnologico, equilibrio di potere e dipendenza economica. Il futuro della pace globale potrebbe decidersi in un piccolo fazzoletto di terra circondato dal mare, ma con il destino del pianeta sulle spalle.

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