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“A che titolo parla ancora Mario Draghi?”. Ecco perché l’Europa continua ad ascoltarlo

Pubblicato: 04/04/2025 11:38

Negli ultimi tempi, una domanda ha iniziato a circolare nel dibattito pubblico: “A che titolo Mario Draghi parla in Europa?”. Un interrogativo che, più che mettere in discussione la legittimità dell’ex Presidente del Consiglio italiano nel prendere la parola su questioni europee, sembra rivelare una memoria piuttosto corta o una scarsa comprensione della sua statura internazionale.

Mario Draghi non è un politico in senso stretto, questo è fuori discussione. Non è nemmeno però un commentatore d’occasione. Si tratta di un economista di fama mondiale con un curriculum che parla da sé. Dopo la laurea alla Sapienza e il dottorato al MIT di Boston, lo stesso ateneo che ha formato altre menti brillanti, ha ricoperto ruoli di primissimo piano nelle istituzioni finanziarie globali. Draghi è stato Direttore Generale del Ministero del Tesoro negli anni cruciali delle privatizzazioni italiane, Governatore della Banca d’Italia e, soprattutto, Presidente della Banca Centrale Europea dal 2011 al 2019. In quegli anni, l’Europa ha attraversato la peggiore crisi economica dalla Seconda Guerra Mondiale, con il rischio concreto di un collasso dell’euro. Draghi si trovò di fronte a un bivio: lasciare che la moneta unica crollasse sotto il peso della speculazione o intervenire in maniera decisa. 

26 luglio 2012, Londra, Global Investment Conference: è una data difficile da dimenticare. Con i mercati in fibrillazione e lo spread dei Paesi mediterranei fuori controllo, Mario Draghi pronunciò una frase destinata a entrare nei libri di storia: “All’interno del nostro mandato, la BCE è pronta a fare tutto il necessario per preservare l’euro. E, credetemi, sarà sufficiente”. Tre parole bastarono ad invertire la rotta e le conosciamo ormai tutti anche in lingua originale: «Whatever it takes». Il messaggio ai mercati era forte e chiaro: la BCE si sarebbe impegnata strenuamente per salvare la moneta unica. A quell’annuncio seguirono misure concrete, come il programma OMT (Outright Monetary Transactions), che permise di stabilizzare i debiti sovrani senza nemmeno dover intervenire in maniera massiccia. Possiamo dirlo, anche i detrattori dell’economista converranno, quel giorno, Draghi non salvò soltanto l’euro, ma l’idea stessa di un’Europa unita, evitando che le difficoltà finanziarie si trasformassero in una crisi esistenziale per l’Ue. 

Dopo aver lasciato Palazzo Chigi, Draghi non è scomparso dai radar. Anzi, il suo parere è oggi più ricercato che mai. Ogni volta che interviene, lo si ascolta con attenzione. Anche perché l’economista non si concede molto: per questa ragione i giornalisti sanno che “se Draghi parla” è perché ha qualcosa da dire. La Commissione Europea, lo sappiamo, gli ha affidato un compito strategico: redigere un rapporto sul futuro della competitività dell’Europa. Presentato il 9 settembre 2024, il documento affronta i nodi cruciali del declino industriale europeo e delle sue debolezze strutturali. L’ex premier ha rimarcato che l’Ue accusa un ritardo crescente rispetto a Stati Uniti e Cina in termini di innovazione e produttività. Per mutare questa tendenza, la proposta è quella di un investimento annuale di 800 miliardi di euro, pari al 4,7% del PIL europeo, per migliorare la produttività, finanziare il modello sociale, accompagnare la transizione ecologica e mantenere la sovranità, vale a dire per non essere sopraffatti dalle autocrazie.

In un continente alle prese con la transizione ecologica, la concorrenza sempre più aggressiva di Stati Uniti, guidati da Donald Trump, e le tensioni geopolitiche, la voce di Mario Draghi rappresenta una guida. Ironia della sorte, è proprio in Italia che la figura del civil servant sembra dividere più che altrove. Mentre all’estero viene visto come una risorsa strategica, nel dibattito nazionale c’è chi si chiede “a che titolo” parli. Un atteggiamento che rischia di essere un boomerang: l’Italia, più di altri Paesi, avrebbe tutto da guadagnare da una figura come la sua, in grado di sedersi ai tavoli che contano.

Nel suo ultimo intervento in Senato, Draghi ha ribadito con chiarezza la necessità di un’Europa più forte e competitiva, avvertendo che, senza un cambio di passo, il Vecchio Continente rischia il declino. L’economista ha sottolineato l’urgenza di una difesa comune europea, definendola una tappa obbligata, e ha evidenziato come la sicurezza dell’UE sia messa fortemente in discussione. Un ragionamento lucido, privo di calcoli elettorali, che ha evidenziato il vero nodo del problema: non è Draghi a dover giustificare il perché parli in Europa, ma l’Europa (e specie l’Italia) a dover dimostrare di essere pronta a seguire la rotta, che lui ha tracciato. 

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Ultimo Aggiornamento: 05/04/2025 23:21

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