
Nel suo ritorno alla Casa Bianca, Donald Trump ha alzato nuovi dazi contro prodotti europei e asiatici, parlando come sempre di “America First” e di industrie da difendere. Ma dietro la solita retorica muscolare si nasconde qualcosa di più profondo: un attacco diretto allo spirito dell’Alleanza Atlantica, quello che tiene insieme l’Occidente da oltre settant’anni.
Nessuno si illuda: non è solo economia. Quando un presidente degli Stati Uniti colpisce le esportazioni di Paesi che sono membri della NATO, non sta solo giocando una partita commerciale, sta minando le fondamenta politiche dell’Alleanza stessa. L’articolo 2 del Trattato NATO parla chiaro: i membri si impegnano a cooperare, a ridurre i conflitti economici, a sostenere la stabilità internazionale. Trump sta facendo l’esatto contrario.
Certo, i giuristi diranno che non c’è una “violazione formale” — non ci sono sanzioni previste, non c’è un tribunale che possa condannare Washington. Ma il diritto internazionale è anche una questione di fiducia, coerenza, responsabilità condivisa. E Trump, con i suoi dazi, sta dicendo a Berlino, Parigi, Roma: fate pure parte della NATO, ma siete nemici economici da colpire.
È questa la solidarietà tra alleati? È questa la sicurezza collettiva? Quando la principale potenza del Patto Atlantico tratta i partner come concorrenti sleali, ogni articolo del trattato vacilla. Perché non esiste difesa comune senza un progetto comune. E non esiste un progetto comune se uno dei membri si comporta da predatore.
Non è protezionismo, è sabotaggio. E l’Europa farebbe bene a svegliarsi: non per rispondere con altri dazi, ma per capire che la vera partita si gioca sull’indipendenza strategica. Difesa comune, industria comune, visione comune. Oppure continueremo a far parte di un’alleanza in cui ci si difende con le armi e ci si colpisce con le tariffe.