
Il secondo giorno di tempesta sui mercati finanziari ha confermato l’impatto devastante della nuova offensiva protezionista lanciata da Donald Trump. Da quando il presidente è tornato alla Casa Bianca, Wall Street ha bruciato 9.600 miliardi di dollari, di cui oltre 5.000 miliardi solo negli ultimi due giorni, dopo l’annuncio dei dazi commerciali. L’onda lunga ha colpito con particolare violenza Piazza Affari, che ieri ha perso il 6,53%, azzerando quasi tutti i guadagni accumulati da inizio anno. Si tratta di uno dei peggiori crolli nella storia recente della Borsa milanese: solo l’attentato alle Torri gemelle fece peggio nel 2001, con un -7,5%, mentre resta lontano il drammatico -16,92% registrato durante il lockdown del marzo 2020.
A trascinare in basso il listino sono state soprattutto le banche, che nei mesi scorsi avevano beneficiato di un’ondata di acquisizioni. Mps ha perso il 12,2%, Bper il 10,4% e Mediobanca il 10,3%. Ma il panico si è esteso a tutto il continente: Londra, Parigi e Francoforte hanno chiuso con ribassi compresi tra il 4 e il 5%, in una giornata che ha riportato i mercati ai momenti più bui dell’instabilità globale.
La crisi è deflagrata quando la Cina ha risposto ai dazi americani imponendo un’imposta del 34% su tutte le importazioni dagli Stati Uniti. Immediata la reazione di Trump, che ha accusato Pechino di aver perso la testa: “I cinesi sono andati nel panico”, ha scritto sui social, invitando gli investitori a puntare sugli Stati Uniti. Ma l’Europa non ha raccolto l’appello. Il ministro dell’Economia francese, Eric Lombard, ha risposto con fermezza: “Aprire una fabbrica negli Usa significherebbe dare ragione agli americani”.
Un momentaneo raggio di sole è arrivato con i dati sull’occupazione americana, che a marzo hanno registrato 228 mila nuovi posti di lavoro. Troppo poco però per invertire la tendenza. L’apertura di Wall Street è stata ancora negativa, con un calo del 2,5% e forti vendite sui titoli esposti al mercato cinese, come Apple, Amazon e Tesla. Per molti analisti si tratta solo della quiete prima della tempesta.
Ulteriori segnali di frenata dell’economia americana arrivano dal mercato obbligazionario, con il rendimento del T-bond decennale sceso sotto il 4% per la prima volta da ottobre. Anche il petrolio ha continuato a scendere: il Wti ha perso il 7,5%, chiudendo a 61,9 dollari al barile. I mercati si rifugiano nei titoli di Stato, ma l’incertezza resta altissima, alimentata dall’imprevedibilità del presidente Usa.
Nel pomeriggio è arrivata una doccia fredda dalle parole del presidente della Federal Reserve, Jerome Powell, che ha avvertito: “Le tariffe di Trump spingono verso più inflazione e meno crescita. Prima di intervenire sui tassi vogliamo vedere un quadro più chiaro”. Il timore degli economisti è quello di entrare in una fase di stagflazione, che impedirebbe alla Fed di agire con decisione. La reazione di Wall Street è stata immediata: le perdite si sono ampliate, con l’indice Nasdaq giù di quasi il 6% e il resto del mercato oltre il 5%.
Nel finale, uno spiraglio è arrivato dal Vietnam, dove il segretario del Partito comunista To Lam ha dichiarato la disponibilità ad azzerare i dazi in caso di intesa con Washington. La notizia ha fatto rimbalzare il titolo Nike, che produce metà delle sue scarpe proprio nel Paese asiatico, con un balzo del 4,6%. Per alcuni osservatori, è il segnale che i dazi trumpiani potrebbero essere usati come strumento di negoziazione. Ma intanto, la fiducia dei mercati resta sotto assedio.