
Il nuovo pacchetto di dazi varato dal presidente Donald Trump rischia di avere effetti profondi sull’intero sistema del commercio internazionale. Tra i principali bersagli c’è, ancora una volta, la Cina, colpita da un’imposta del 34% (che si aggiunge al 20% già in vigore) sulle esportazioni verso gli Stati Uniti. Ma il colpo rimbalza forte anche su aziende americane che da Pechino dipendono: in prima linea, Apple, che si trova ora a dover affrontare una decisione strategica.
Prezzi alle stelle, rischio rincari record per gli iPhone
Secondo le stime di Rosenblatt Securities, se Apple decidesse di trasferire interamente il costo dei dazi sul consumatore, il prezzo degli iPhone potrebbe aumentare fino al 43%, portando il modello di punta a sfiorare i 2.300 dollari. Anche Mac e AirPods potrebbero subire rincari vicini al 39%.
In particolare, l’iPhone 16 base passerebbe dagli attuali 799 dollari a 1.142 dollari, mentre il Pro Max, con display da 6,9 pollici e memoria da 1 terabyte, salirebbe da 1.599 a quasi 2.300 dollari. Nemmeno la versione “economica” iPhone 16e, oggi a 599 dollari, sarebbe risparmiata: le proiezioni la indicano a 856 dollari.
Le stime sono confermate anche da Counterpoint Research, che prevede aumenti medi di almeno il 30%, mentre Morgan Stanley indica una forchetta tra il 17% e il 18%.
Apple in calo in Borsa, l’effetto immediato dei dazi
La risposta dei mercati non si è fatta attendere: giovedì le azioni Apple hanno perso il 9,3%, la peggiore performance dal marzo 2020. “Tutta questa vicenda dei dazi sta andando in una direzione completamente opposta rispetto alle nostre aspettative”, ha commentato Barton Crockett, analista di Rosenblatt, riferendosi alla mancanza di esenzioni per Apple, diversamente da quanto avvenuto durante il primo mandato di Trump.
Un margine d’azione resta: le merci già in transito prima delle 00:01 ET del 9 aprile non saranno colpite dalle nuove tariffe. Apple potrebbe approfittarne per aumentare gli stock pre-dazi, ma la finestra è stretta.
Il Congresso e i tentativi di mediazione
Il Congresso, attualmente a maggioranza repubblicana, potrebbe intervenire, ma le possibilità appaiono ridotte. La proposta bipartisan del senatore Chuck Grassley, che mira a obbligare il presidente a notificare i dazi al Congresso, non ha i numeri per procedere. Anche una risoluzione separata per bloccare i dazi verso il Canada pare destinata a naufragare alla Camera.
Intanto, Trump su Truth Social ribadisce la linea dura: “Sta andando tutto benissimo – I MERCATI esploderanno…”. L’unico segnale di apertura riguarda una “telefonata produttiva” con il Vietnam, in vista di una possibile riduzione delle imposte.
Rischi globali e riflessi in Europa
Benché le nuove tariffe colpiscano solo le importazioni USA, l’effetto potrebbe propagarsi a livello globale. Apple potrebbe infatti decidere di uniformare parte dei listini per compensare la perdita di margini negli Stati Uniti.
In Italia, dove il costo degli iPhone è già elevato a causa di IVA e tassazione, il ritocco potrebbe portare i modelli top a superare i 2.000 euro. A farne le spese sarebbe soprattutto chi guarda all’ecosistema Apple come strumento d’accesso alle nuove funzionalità basate sull’intelligenza artificiale, uno dei pilastri della strategia 2025 di Cupertino.
Samsung osserva, Nintendo si muove
Lo scenario attuale apre spazi per competitor come Samsung, che produce in parte in Vietnam (colpito da un dazio del 46%, ma mantiene parte della produzione in Corea del Sud, meno tassata). Il colosso sudcoreano potrebbe trarne vantaggio, soprattutto nei mercati sensibili al prezzo.
Altre aziende stanno già reagendo: Nintendo, ad esempio, ha annullato i preordini della nuova Switch 2 negli USA previsti per il 9 aprile, in attesa di valutare gli effetti del nuovo regime doganale.
Apple alla resa dei conti: dove produrre?
Per Apple si riapre così una fase delicata: il nodo resta la dipendenza dalla produzione cinese. Negli ultimi anni, l’azienda ha avviato una diversificazione industriale, con nuove linee in India, Vietnam, Thailandia e Malaysia. Tuttavia, anche questi Paesi potrebbero essere soggetti a forme di tassazione simili, seppure meno pesanti rispetto alla Cina.
La domanda chiave, per Apple e per molte altre imprese, resta dunque aperta: come — e dove — costruire i propri prodotti in un mondo segnato da nuove barriere e dazi sempre più aggressivi.