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Trump, dazi e danni collaterali: come l’Italia rischia di pagare la presidenza americana

Pubblicato: 08/04/2025 12:15

Nel suo eterno remake dello slogan “Make America Great Again”, inciso anche sul celebre cappellino rosso che il tycoon non abbandona mai, Donald Trump, l’apprendista stregone del protezionismo, ha riportato in auge uno dei suoi strumenti politici preferiti: i dazi. Tornato alla Casa Bianca per il suo secondo mandato, non ha perso tempo: tra le prime mosse della nuova amministrazione, è arrivato un pacchetto di tariffe doganali che colpisce direttamente una lunga lista di prodotti importati, soprattutto dall’Unione Europea e, in particolare, dall’Italia. 

Il dazio più pesante (20%) riguarda l’agroalimentare, e già qui si cominciano a contare i danni. Parmigiano, prosciutto, prosecco: tutti potenziali ostaggi di una politica commerciale combattuta a colpi di protezionismo. Coldiretti stima che per i consumatori americani significherà 1,6 miliardi di dollari in più, ma la beffa è tutta nostra: meno esportazioni, più concorrenza taroccata e il reale rischio di vedere spuntare nuovi “Parmesan” texani sugli scaffali.

«Questa deve essere l’occasione per l’Europa di restare unita e rilanciare i settori produttivi, a partire dalla sburocratizzazione e da un piano di investimenti», ha dichiarato il presidente di Coldiretti Ettore Prandini. Parole che trovano eco anche a Palazzo Chigi: Giorgia Meloni, che presto si recherà a Washington per negoziare direttamente con Trump, ha parlato di un colpo durissimo per i nostri produttori e ha invitato Bruxelles a non sbagliare la reazione. Nel mirino, oltre ai dazi, a suo dire, c’è pure il Green Deal europeo, accusato di complicare ulteriormente la vita delle imprese.

Anche Confindustria ha alzato la voce: secondo il presidente Emanuele Orsini, i dazi mettono a rischio interi comparti strategici per l’Italia, dall’alimentare alla moda, dalla meccanica alla farmaceutica, tutti settori che vivono di export. «Una misura sbagliata che colpisce industria, lavoratori e consumatori su entrambe le sponde dell’Atlantico», ha detto Orsini. Ma il punto politico resta: siamo di fronte a un’escalation commerciale destinata a durare per tutta la nuova amministrazione? Certo, la reazione dei mercati non lascia presagire nulla di buono. Le Borse americane hanno perso ancora terreno, nonostante un temporaneo rimbalzo legato alla (falsa) notizia di un congelamento dei dazi. L’S&P 500 ha chiuso in calo dello 0,2%, il Dow Jones ha lasciato sul terreno 349 punti (-0,9%) mentre il Nasdaq è rimasto appena sopra la parità (+0,1%).

Ma è in Europa che si sono sentiti i contraccolpi più forti: Parigi ha chiuso a -4,8%, Francoforte a -4,3%, Madrid a -5,1%. A Milano il Ftse Mib ha perso il 5,2% in un solo giorno, bruciando quasi 38 miliardi di euro di capitalizzazione. In totale, le Borse mondiali hanno perso oltre 10 mila miliardi di dollari, travolte dallo tsunami del più grande aumento di dazi negli Usa dal 1909. «Questa sta diventando una crisi peggiore di quella provocata dal Covid. Non conviene a nessuno», le parole dell’ex ambasciatore Lew Eisenberg.

E intanto, per l’Italia, si fa largo un amaro sospetto: a pagare il conto del protezionismo trumpiano non saranno i giganti della finanza o dell’hi-tech, ma i produttori di salumi di Parma, le cantine venete, le imprese familiari della meccanica bresciana. Perché è lì che colpiscono i dazi: non nelle grandi strategie geopolitiche, ma nel prezzo al chilo del Parmigiano, che negli Stati Uniti ha già superato i 30 euro. E tutto questo mentre sugli scaffali iniziano a comparire i soliti “Parmesan” e i “Prosciutti-style” texani, prodotti a km 10.000 dall’Emilia-Romagna. 

Ricorderete la leggendaria la scena del film Non ci resta che piangere (1984), in cui Benigni e Troisi si trovano a fare i conti con il gabelliere di turno, con quel mitico scambio: «Chi siete? Cosa portate? Quanti siete? Un fiorino!». Quel siparietto rende perfettamente l’idea di quanto, a volte, certe richieste possano sembrare assurde. E i dazi imposti da Trump sembrano essere la versione moderna di quel fiorino. Certo questi ultimi non sono una novità: la stessa storia, tra l’altro, ci insegna che funzionano raramente. I dazi fanno quasi sempre male a tutti, ma hanno un vantaggio: sono facili da spiegare, efficaci da annunciare e perfetti da sbandierare in campagna elettorale. In un mondo complesso, Trump ha scelto l’arma più semplice, quella che fa più rumore. Funziona al voto, molto meno al supermercato. 

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Ultimo Aggiornamento: 09/04/2025 23:14

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