
Cara Presidente Meloni, non c’è polemica in queste righe, ma un’urgenza intellettuale e politica. Il ritorno di Donald Trump sulla scena internazionale, con il suo carico di dazi punitivi, minacce unilaterali e guerra commerciale sistemica, impone un momento di verità. Un’occasione per interrogarsi non solo sull’efficacia del sovranismo, ma sulla sua natura profonda, sul suo errore di fondo.
Il sovranismo non è solo un orientamento politico. È una visione del mondo, una dottrina identitaria che riduce la sovranità a chiusura, la libertà a isolamento, l’interesse nazionale a difesa solitaria. In nome della “nazione” si rompono legami, si sfidano alleanze, si rinuncia a ogni costruzione comune. Ma è proprio qui il cortocircuito teorico: perché una sovranità che si concepisce solo contro l’altro finisce per diventare autocannibalica, regressiva, impotente.
Trump, oggi, lo dimostra con estrema chiarezza. I suoi dazi non sono solo una misura economica: sono un gesto di rottura filosofica. L’idea che ogni attore globale debba difendersi da ogni altro, che il commercio sia un campo di battaglia e non uno spazio di interdipendenza, ci porta in un mondo senza regole, senza cooperazione, senza orizzonte.
È la logica hobbesiana spinta all’estremo: tutti contro tutti, stati come individui armati in una guerra permanente. Ma la sovranità che nasce da questa visione è una maschera del caos, non un principio di ordine. E non può che generare insicurezza, instabilità, conflitto.
E qui nasce un interrogativo inevitabile. Se lei stessa ha affermato che i dazi di Trump sono sbagliati, allora non è forse arrivato il momento di riconoscere che è sbagliata anche la premessa ideologica che li giustifica? Se si contesta la scelta di colpire l’Europa in nome dell’interesse nazionale americano, come si può continuare a sostenere un’idea di sovranità fondata sul medesimo principio — la priorità assoluta dell’interesse nazionale, anche a costo di rompere ogni legame? Non si può condannare gli effetti e salvare la causa. Dire che Trump sbaglia sui dazi significa, in fondo, ammettere che il sovranismo non regge alla prova del reale. E a quel punto, forse, sarebbe doveroso trarne anche le conseguenze culturali e politiche.
Presidente, il sovranismo non è sbagliato solo politicamente. È fallace ontologicamente. Perché presuppone che le nazioni siano entità chiuse, autosufficienti, immutabili. Quando invece viviamo in un mondo radicalmente interconnesso, dove la sovranità può esistere solo come potere condiviso, non come dominio esclusivo.
Il paradosso è questo: più il mondo si frammenta, più chi crede di difendere il proprio popolo lo espone alla marginalità. E più si brandisce la bandiera dell’identità, più si cancella la possibilità di incidere davvero sul reale.
Oggi più che mai, ciò che chiamiamo “sovranismo” si rivela una reazione difensiva, un’ideologia del passato travestita da riscatto. Ma un’ideologia che nega la complessità del presente non è mai una via di futuro.