
Un silenzio denso, come la nebbia che cala su una partita sospesa per lutto. È quello calato nell’aula del tribunale di San Isidro, martedì, quando Mario Alejandro Schiter, il medico che ha curato Diego Armando Maradona per oltre vent’anni, ha preso la parola. E le sue parole sono state durissime, accuse mascherate da constatazioni cliniche, verità che bruciano.
“Non doveva tornare a casa. Non era gestibile, non era il luogo giusto per lui”, ha detto Schiter davanti ai giudici e alle difese dei sette imputati, tutti operatori sanitari che avevano in carico il Pibe de Oro nelle sue ultime settimane di vita. Accusati di negligenza, rischiano fino a 25 anni di carcere.
Una casa senza cure, una morte evitabile
Maradona è morto il 25 novembre 2020, in quella che tecnicamente era una clinica casalinga nella periferia di Buenos Aires. Ma la parola “clinica”, dopo l’udienza, pare suonare come una beffa. Perché, come ha raccontato Schiter, quella casa era priva delle attrezzature mediche minime, e ancor più grave, era priva delle attenzioni e della competenza necessarie per gestire un paziente come lui.
“Avrebbe dovuto essere ricoverato in una clinica di riabilitazione, in un luogo protetto. Lo dico perché lo conoscevo, ho visto Diego nel momento peggiore della sua vita, nella fase più oscura della dipendenza. Sapevo quanto fosse difficile curarlo, contenerlo, proteggerlo…”, ha detto con un tono che oscillava tra il rimpianto e l’indignazione.

Schiter: “Io consulente, ma ignorarono il mio consiglio”
Il medico ha chiarito di non aver avuto autorità decisionale. Il suo ruolo era consultivo. “Mi venne detto che si era optato per il ricovero a domicilio. Una scelta di altri. Non mia”, ha precisato. Ma la responsabilità, seppure indiretta, lo tormenta.
Secondo l’autopsia, che Schiter ha personalmente osservato, la morte è stata causata da un’insufficienza cardiaca legata alla mancanza di cure adeguate. “Tutte le prove indicano che non furono fornite cure modificabili”, ha detto il medico con fermezza.
Una vita fuori scala, una fine piena di interrogativi
Diego era ingestibile, sì. Ed era anche un paziente fragile, un uomo schiacciato dal proprio mito, che aveva bisogno di una struttura, di regole, di medici capaci di tenergli testa. Invece, secondo l’accusa, si è trovato circondato da professionisti incapaci. C’era un neurochirurgo, uno psichiatra, uno psicologo, medici e infermieri: tutti ora sotto processo per aver lasciato solo il più solo degli uomini famosi.
La voce di Schiter ha chiarito alcuni aspetti di un racconto spesso distorto dal gossip e dai sensazionalismi. Ma ha anche alzato il livello dello scontro: non è più solo una questione clinica, è diventata una questione morale.