
La Corte di Cassazione ha confermato il diritto di un minore figlio di due donne a ottenere una carta d’identità che rifletta la sua specifica situazione familiare, utilizzando la dicitura “genitori” anziché le tradizionali voci “padre” e “madre”. La sentenza respinge il ricorso presentato dal Ministero dell’Interno contro la decisione della Corte d’Appello di Roma, che nel febbraio 2024 aveva ordinato di modificare il documento, annullando l’efficacia del decreto voluto dall’ex ministro Matteo Salvini nel 2019.
Il decreto Salvini, che aveva suscitato accese polemiche, imponeva di riportare sul documento di identità le etichette “padre” e “madre”, ignorando una modifica introdotta nel 2015 dal governo Renzi, che aveva sostituito tali voci con “genitori”. La battaglia su questo tema era diventata una delle principali crociate ideologiche della Lega, con Salvini che dichiarava l’intento di “difendere la famiglia naturale fondata sull’unione tra un uomo e una donna”.
Nel caso specifico, una coppia di madri, una biologica e una adottiva, ha chiesto la modifica della carta d’identità del loro figlio, minorenne, per rispecchiare la loro realtà familiare. I giudici, sia in primo che in secondo grado, hanno accolto la richiesta, sottolineando che le diciture previste dal decreto non erano adeguate a rappresentare tutte le configurazioni familiari legittime. La Corte d’Appello, come riportato dalla Cassazione, ha rilevato che le indicazioni ministeriali non riconoscevano i corretti rapporti di filiazione in famiglie non tradizionali. La decisione del Viminale, quindi, impediva al minore di ottenere una carta d’identità valida per l’espatrio, escludendolo a causa della sua filiazione da due madri dello stesso sesso.
Nel mese di aprile dello scorso anno, il Ministero dell’Interno ha presentato ricorso alla Cassazione, sostenendo che la modifica fosse contraria al principio di bigenitorialità e ai principi di ordine pubblico. Tuttavia, la Suprema Corte ha rigettato tale argomentazione, affermando che il decreto di Salvini violava il diritto dei genitori di far figurare correttamente il proprio nome sulla carta d’identità del figlio, costringendo una delle madri a vedersi etichettata come “padre”, un termine incompatibile con la sua identità di genere.