
All’indomani della pubblicazione delle motivazioni della sentenza che ha condannato Filippo Turetta all’ergastolo per l’omicidio di Giulia Cecchettin, la sorella Elena rompe il silenzio con parole forti e amare. In una storia su Instagram, Elena esprime la sua delusione per la scelta della Corte di non riconoscere l’aggravante della crudeltà, nonostante le 75 coltellate inferte a Giulia. Ma c’è di più. In mezzo al dolore, torna alla mente un sogno, un ricordo sussurrato che oggi suona come un presagio ignorato.
«Una sentenza simile, con motivazioni simili, in un momento storico come questo non è solo pericolosa, ma rappresenta un precedente terrificante», scrive Elena. Poi affonda: «Riconoscere le aggravanti fa la differenza. La violenza non inizia con un coltello, inizia molto prima, e se non la identifichiamo in tempo, il peggio non lo possiamo più evitare».
Giulia, giorni prima della tragedia, aveva confidato alla sorella un sogno angosciante. Un’immagine cupa: si trovava sola, in un luogo indefinito, inseguita da qualcuno. Aveva paura. Quando si svegliò, aveva gli occhi lucidi. «Non riesco a togliermelo dalla testa», le aveva detto. Un dettaglio allora trascurato, oggi dolorosamente simbolico. Era solo un sogno, ma forse era già tutto scritto.
Elena oggi lo ripete con forza: «Non è stata solo una mano violenta ad ucciderla. È stata anche la giustificazione, l’indifferenza per quei segnali che precedono il femminicidio». E conclude con un appello durissimo: «Se domani qualcuno sentirà che può colpire 75 volte senza che questo sia considerato crudeltà, allora dovremo sentirci responsabili. Perché la giustizia non serve solo a chiarire il passato, ma a prevenire il futuro».
Un sogno, una vita spezzata, e una sentenza che – secondo Elena – rischia di lasciarci tutti più soli.