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Abbiamo trovato Atlantide? Yonaguni, l’enigma sommerso che sfida la storia

Pubblicato: 10/04/2025 16:29

C’è una montagna di pietra che dorme sotto il mare, a soli 25 metri di profondità, tra il Giappone e Taiwan. Ha angoli netti, gradoni, scalini e una struttura che, vista da vicino, ricorda inquietantemente una piramide a gradoni. Il suo nome è monumento di Yonaguni, e da quasi quarant’anni divide il mondo accademico, affascina gli appassionati e alimenta le teorie più ardite: potrebbe essere l’Atlantide dell’Estremo Oriente.

Scoperta per caso nel 1986 da un sub giapponese al largo dell’isola di Yonaguni, questa colossale formazione rocciosa ha subito fatto parlare di sé per la sua forma regolare e i suoi spigoli troppo perfetti per sembrare naturali. Alta circa 27 metri e larga decine di metri, sembra un’opera scolpita dalla mano dell’uomo. Ma se fosse davvero così, sarebbe più antica delle piramidi egizie e perfino di Stonehenge. Una costruzione così complessa, in un’epoca che la storia ufficiale considera ancora pre-agricola, cambierebbe tutto ciò che sappiamo sull’origine della civiltà.

La data che riscrive la storia

Secondo alcune analisi geologiche, la pietra di Yonaguni potrebbe avere oltre 10.000 anni. Il che significa che, se fosse opera dell’uomo, sarebbe stata eretta prima che la regione venisse sommersa, cioè più di 12.000 anni fa. Ma come sarebbe possibile? La nostra visione attuale dell’evoluzione umana ci dice che, in quell’epoca, gli uomini vivevano ancora in piccole tribù di cacciatori-raccoglitori. Eppure, Yonaguni suggerisce il contrario.

A riaccendere il dibattito è stata una puntata recente del podcast “The Joe Rogan Experience”, dove si sono confrontati due visioni opposte. Da un lato Graham Hancock, autore noto per le sue teorie sulle civiltà perdute, dall’altro Flint Dibble, archeologo convinto che si tratti solo di una curiosa formazione naturale.

Una civiltà scomparsa sotto il mare?

Secondo Hancock, la struttura presenta archi, scalinate, terrazze, persino un volto scolpito. Tutti elementi che, nelle sue parole, “gridano intervento umano”. Per lui, Yonaguni potrebbe essere la prova dell’esistenza di una civiltà avanzata e dimenticata, annientata da un cataclisma e cancellata dalla memoria storica, come narra il mito di Atlantide.

Dibble, invece, respinge questa ipotesi. Le sue osservazioni puntano su un fenomeno ben noto in geologia: l’erosione naturale delle rocce sedimentarie, che può produrre spigoli vivi e strutture sorprendentemente regolari. “Nulla mi ricorda l’architettura umana”, ha affermato (esagerando, perché le similitudini, anche fosse un prodotto della natura, saltano all’occhio). Dibble sostiene che gli organismi marini possono avere alterato la superficie rendendola più uniforme.

A metà strada tra i due, il geologo Robert Schoch propone una posizione più cauta: “Dobbiamo considerarla una formazione naturale, finché non emergeranno prove più solide del contrario. Ma la questione non è chiusa”. Una frase che è un invito a non smettere di cercare e ad approfondire gli studi.

Perché tutto questo conta

Se il monumento di Yonaguni fosse davvero stato costruito dall’uomo, significherebbe che esisteva una cultura capace di progettare e realizzare opere monumentali in un’epoca che noi consideriamo preistorica. Vorrebbe dire che la civiltà è iniziata molto prima di quanto immaginiamo, e che i nostri libri di storia andrebbero riscritti.

Sarebbe come trovare una biblioteca in un’epoca in cui credevamo che l’uomo non sapesse ancora scrivere. Nel frattempo, Yonaguni rimane lì, immersa nel silenzio del mare, tra le correnti che lambiscono le isole Ryukyu. Una sfida sommersa che ci guarda, in attesa che qualcuno abbia il coraggio – o l’umiltà – di studiarla più a fondo e, nel caso, rivedere certezze che credevamo incrollabili.

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