
La Cina ha già pronto un piano per aggirare i dazi statunitensi che, sotto la presidenza di Donald Trump, sono saliti fino a un vertiginoso 145%. Tra svalutazione dello yuan, limiti all’export di terre rare e manovre diplomatiche, Pechino punta ora su una delle sue armi più efficaci: la rete di porti commerciali costruita in anni di investimenti strategici. Al centro di tutto c’è la triangolazione, una tecnica ben rodata nel commercio internazionale.
Fino a oggi, la Cina si era appoggiata soprattutto su Vietnam e Thailandia, sfruttandone le infrastrutture costiere per inoltrare le merci verso il mercato americano. Ma anche quei canali stanno diventando problematici: l’amministrazione Trump ha esteso i dazi anche a quei Paesi, con tariffe del 46% sul Vietnam e 36% sulla Thailandia.

La recente moratoria di 90 giorni, annunciata dal presidente americano il 9 aprile, ha temporaneamente riportato tutte le tariffe al 10%, ma il futuro è tutt’altro che chiaro. Un eventuale accordo con Hanoi o Bangkok potrebbe riportare la calma, ma è altrettanto probabile che la tensione commerciale torni a salire.
Consapevole del fatto che le vie tradizionali sono ormai sotto stretta sorveglianza da parte di Washington, Pechino sta esplorando nuovi percorsi per far arrivare le proprie merci negli Stati Uniti — anche se dalla “porta sul retro”. La posta in gioco è alta: si parla di 500 miliardi di dollari di beni diretti al mercato americano, ovvero circa il 15% dell’intero import USA.
Il piano è semplice: intensificare il traffico merci attraverso i circa 40 porti del Centro e Sudamerica controllati, direttamente o indirettamente, da compagnie cinesi. Uno snodo cruciale è il porto di Santos, il più grande del Brasile, dove gli spedizionieri cinesi oggi gestiscono il 25% del traffico commerciale. Una presenza che, fino a pochi anni fa, sarebbe sembrata impensabile.

Ma Santos non è un caso isolato. La Cina è presente in porti già operativi o in costruzione in Cile, Perù, Ecuador: nazioni che non sono state colpite in modo significativo dalla stretta protezionista americana, rimanendo con dazi al 10% fin dall’inizio. In questo scenario, scaricare le merci nei porti sudamericani, cambiare etichetta di origine e rispedirle verso gli USA diventa un’operazione logistica collaudata. La classica triangolazione funziona ancora — ed è più attuale che mai.
Con l’appetito costante dei consumatori americani per prodotti cinesi — dai giocattoli ai telefoni cellulari — è chiaro che Pechino non intende rinunciare facilmente a uno dei suoi mercati più redditizi. E se la guerra commerciale continua, lo farà con rotte nuove, etichette diverse e una strategia globale che punta, come sempre, a restare un passo avanti.