
Un’accusa che brucia come benzina gettata sul fuoco. Il presidente ucraino Zelensky ha dichiarato pubblicamente che oltre 150 cittadini cinesi sarebbero stati coinvolti dalla Russia nel conflitto contro l’Ucraina. Una frase breve, ma sufficiente a far esplodere l’ira diplomatica della Cina, che ha definito le dichiarazioni del leader ucraino “irresponsabili” e “prive di fondamento”.
Il Cremlino ha provato a smorzare i toni, bollando le parole di Zelensky come “sbagliate” e negando qualsiasi coinvolgimento attivo della Cina nel teatro ucraino. Ma le parole del presidente ucraino, pronunciate in un momento delicatissimo per gli equilibri internazionali, hanno colpito nel vivo la sensibilità strategica di Pechino, già sotto pressione su più fronti.
Una presenza ambigua: chi sono i 150 cinesi citati da Zelensky?
La dichiarazione di Zelensky è destinata ad avere conseguenze, perché tira in ballo la presunta presenza di cittadini cinesi arruolati, direttamente o indirettamente, da Mosca. Ma chi sono, realmente, questi uomini? Secondo The Independent, tre sono le ipotesi sul tavolo.
Si parla di semplici disertori o migranti in fuga dal rigido sistema cinese, finiti nelle maglie della guerra; di mercenari con legami opachi con l’intelligence di Pechino, infiltrati per raccogliere informazioni strategiche; di un primo passo verso un intervento più diretto della Repubblica Popolare nel conflitto. Uno scenario inquietante, che scuote la diplomazia internazionale.

La Cina si proclama neutrale, ma rafforza Mosca
Pechino non è del tutto sorpresa dagli attacchi. Da tempo, le cancellerie occidentali guardano con sospetto alla “partnership senza limiti” dichiarata nel 2022 tra Xi Jinping e Vladimir Putin. Sebbene la Cina continui a sventolare la bandiera della neutralità, i fatti raccontano un’altra storia.
Il New York Times ha più volte documentato come Pechino continui ad acquistare grandi quantità di petrolio russo, salvando Mosca dal collasso economico. Non solo: aziende cinesi forniscono tecnologie a doppio uso, droni in primis, che possono finire sul campo di battaglia. Una neutralità a geometria variabile, che consente alla Cina di sedere al tavolo della diplomazia globale mentre appoggia il Cremlino.
Una crisi che si allarga: da Kiev a Washington
Le parole di Zelensky cadono nel pieno della guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina, in un momento in cui Washington preme per isolare Pechino. Il sospetto che Pechino possa testare il conflitto ucraino come laboratorio militare o tecnologico non è nuovo nei circoli dell’intelligence occidentale. La Cina si sente assediata e reagisce con forza. Ma è sempre più difficile mantenere l’equilibrismo tra l’asse con Mosca e il desiderio di non rompere del tutto con l’Occidente.
Le accuse di Zelensky minano ulteriormente la già fragile architettura diplomatica globale. La Cina nega, si indigna, ma non chiarisce fino in fondo. E questo lascia aperta la porta a dubbi, sospetti e nuovi scenari di tensione. In una guerra che non sembra voler finire, ogni parola è un detonatore. E l’accusa di Zelensky, forse, è arrivata nel momento più inopportuno.