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“Volevo solo che si fermasse”: il dramma di Makka, 19 anni, sotto processo per l’omicidio del padre violento

Pubblicato: 11/04/2025 11:19

Makka Sulaev, 19 anni, studentessa di Nizza Monferrato, siede davanti alla Corte d’Assise di Alessandria con lo sguardo basso e un hijab verde scuro. È accusata di omicidio premeditato, per aver colpito il padre con due coltellate il primo marzo 2024. Dietro quel gesto estremo, però, si snoda una storia di abusi, silenzi e paura.

Un diario che racconta la violenza

A guidare l’indagine è una frase scritta nel suo diario: «Lo ucciderò». Parole che la Procura interpreta come segno di premeditazione. Ma in aula, Makka prova a raccontare un’altra verità: quella di una figlia spaventata, prigioniera di un ambiente domestico segnato dalla violenza e dal terrore.

«Non volevo ucciderlo, volevo solo che si fermasse. Avevo **paura per me, per mia madre, per i miei fratelli» – ha detto con voce tremante davanti ai giudici.

Nel diario, finito agli atti, si leggono episodi di capelli strappati, urla, minacce, e aggressioni fisiche. Scrive: «Non era religione, era disumanità. Mio padre usava la fede per giustificare la violenza». Una fede che Makka distingue con forza: «Sono musulmana, ma la fede è un’altra cosa».

Un coltello per difesa, non per uccidere

«L’ho comprato al supermercato perché in casa non c’erano lame abbastanza grandi – racconta – Non volevo ucciderlo. Volevo solo spaventarlo. Era forte, praticava arti marziali. Anche a mani nude riusciva a farci male».

Quella sera, secondo il suo racconto, l’uomo aveva minacciato la madre. La giovane, presa dal panico, ha afferrato il coltello: due fendenti, poi il sangue, e l’orrore.

Il silenzio di chi subisce

Makka racconta anche il peso di quel silenzio che dura da anni: «A scuola non dicevo niente. Piangevo per i brutti voti, ma piangevo per casa mia». Un dolore che condivideva solo con se stessa. Nessuno sapeva, nessuno vedeva.

Oggi è agli arresti domiciliari. Le manca la scuola, «ma non i voti», dice con un sorriso stanco. «Se potessi tornare indietro, non comprerei quel coltello», ammette con lucidità.

Una madre tra lacrime e verità

In aula, la madre di Makka piange in silenzio. Non parla, ma il suo dolore è visibile. Una madre che ha subito in silenzio per anni, e ora assiste alla resa dei conti.

Alla domanda se avesse mai amato suo padre, Makka risponde dopo una pausa: «Da piccola sì. Ma crescendo ho capito. Non potevo più accettare come trattava mia madre».

Un processo tra giustizia e coscienza

La Corte dovrà stabilire se quella coltellata fu premeditata o l’estremo gesto di autodifesa. Ma Makka ha già fatto una scelta: «Ho detto la verità. Accetterò qualsiasi decisione della Corte».

Una verità amara, nata da una giovane vita spezzata non solo da un coltello, ma da anni di sopraffazione taciuta.

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