Una tregua carica di incognite

La tregua di 90 giorni imposta da Donald Trump sulla guerra dei dazi è sembrata, a prima vista, un segnale distensivo. Un’occasione per respirare, ricucire, forse persino tornare a parlare di cooperazione. Ma la realtà, più scivolosa e ambigua, racconta altro: l’incertezza è aumentata, non diminuita. E quando la nebbia si infittisce sui mercati, il rischio non è più un’ipotesi astratta, ma un prezzo da pagare.
Gli indici di volatilità, come il Vix, sono esplosi. In un’altalena schizofrenica, le azioni a Wall Street passano dal verde al rosso nel giro di ventiquattro ore: un giorno il 98% dei titoli è in guadagno rispetto a inizio anno, quello dopo l’86% è in perdita. I mercati sono diventati una trincea. E quando si combatte al buio, si vende tutto: attivi liquidi, asset solidi, persino i Treasuries americani, da sempre rifugio sicuro per eccellenza.
Il collasso della fiducia: anche i titoli di Stato ora fanno paura
Ricorda qualcosa? Esatto: è lo stesso meccanismo che ha travolto il Regno Unito ai tempi del governo Truss. Un aumento annunciato del debito pubblico bastò a scatenare il panico, con la Bank of England costretta a intervenire d’urgenza per arginare un tracollo. Ora tocca agli Stati Uniti.
Dopo la crisi del 2008, il sistema finanziario si è trasformato: meno banche, più hedge fund, meno vincoli e più leva. Ma con una volatilità come quella attuale, la leva finanziaria è una bomba a orologeria. Così, questi fondi smobilitano, vendono Treasuries in massa e scatenano un effetto domino: prezzi giù, rendimenti su di 50 punti base in meno di una settimana. Uno tsunami silenzioso ma letale. Favorito da un sistema che favorisce troppo la speculazione e ignora, troppo spesso, l’economia reale.

Il nodo politico dietro il salvataggio
Sulla carta, la Federal Reserve ha gli strumenti per difendere il sistema. L’ha già fatto durante il Covid, aprendo linee di credito in dollari per tutto il pianeta. Ma nel 2025 la banca centrale americana deve fare i conti con un presidente che non ama le ingerenze, né tanto meno il concetto di “aiuto agli altri”. Trump potrebbe mettersi di traverso, ostacolando le manovre della Fed e trasformando una crisi contenibile in una catastrofe globale.
Non è un caso che a Francoforte si moltiplichino le riunioni a porte chiuse. I tecnici della BCE stanno studiando contromisure in caso di penuria di dollari. Si parla – a bassa voce – di rilanciare l’euro come valuta di riferimento per gli scambi globali. Un azzardo? Forse. Ma quando la barca affonda, ci si prepara al peggio. E l’impressione è che il primo obiettivo di Trump sia di indebolire il dollaro per favorire le esportazioni. Il che in un disegno di re-industrializzazione dell’America ha perfettamente senso.
Un rischio sistemico sotto gli occhi di tutti
Trump ha già riscritto le regole del commercio mondiale. Ora, dicono i più cinici, potrebbe voler lasciare il segno anche sul sistema finanziario globale. E non parliamo di ipotesi teoriche: se i dollari smettono di circolare e i Treasuries diventano tossici, il mondo intero – dalle multinazionali ai piccoli risparmiatori – si troverà a camminare su un pavimento di vetro. Questa non è una crisi annunciata. È una minaccia strutturale. Ed è già cominciata.