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Caso Resinovich, il marito Sebastiano Visintin indagato: “La cosa peggiore che potesse succedermi”

Pubblicato: 12/04/2025 09:06

Trieste – Una svolta clamorosa nel caso della morte di Liliana Resinovich, la 63enne scomparsa nel dicembre 2021 e trovata senza vita tre settimane dopo nel boschetto dell’ex ospedale psichiatrico San Giovanni, riapre scenari che la Procura sembrava aver archiviato. Una nuova perizia, commissionata dopo il rigetto della richiesta di archiviazione da parte del gip, ha ribaltato l’ipotesi iniziale di suicidio: Liliana sarebbe stata aggredita e soffocata il giorno stesso della scomparsa, il 14 dicembre.

Il corpo della donna, rinvenuto il 5 gennaio 2022, era in condizioni peculiari: due sacchi coprivano testa e piedi, mentre sulla testa erano stati stretti due sacchetti per alimenti legati con un cordino. Nessun segno evidente di violenza all’epoca fu ritenuto compatibile con un omicidio, ma una nuova autopsia, condotta nel febbraio 2024 in seguito alla riesumazione del cadavere, ha cambiato drasticamente il quadro: sono stati rilevati segni di lesioni compatibili con un’aggressione alla testa, alla mano destra e forse al torace, inflitte poco prima della morte.

Nel terzo anno da quella tragica scoperta, arriva ora un altro elemento di forte impatto: Sebastiano Visintin, marito della vittima, è ufficialmente indagato per omicidio. Fino a questo momento Visintin aveva sempre respinto ogni accusa e dichiarato pubblicamente la sua estraneità ai fatti. L’iscrizione nel registro degli indagati avviene però in un contesto completamente mutato: la nuova relazione medico-legale ha infatti sottolineato che «non vi sono elementi tecnico scientifici che supportino l’ipotesi del suicidio», come si ipotizzava inizialmente.

A confermare ulteriormente l’iscrizione nel registro degli indagati è stato Carmelo Abate, giornalista da anni impegnato nel seguire il caso, che ha sottolineato come la qualificazione del reato ipotizzato sia tra i più gravi previsti dal nostro ordinamento: omicidio volontario, punibile con l’ergastolo.

La perizia che ha cambiato tutto

La svolta giudiziaria è il frutto di un passaggio fondamentale dell’inchiesta: la perizia medico-legale commissionata dalla Procura a un pool di esperti guidato dall’anatomopatologa Cristiana Cattaneo, affiancata dai colleghi Vanin, Tambuzzi e Leone. Il corposo documento, lungo oltre duecento pagine, ha sconfessato in modo definitivo l’ipotesi iniziale di suicidio, descrivendo con rigore scientifico le dinamiche della morte di Liliana.

Secondo la perizia, Liliana Resinovich sarebbe deceduta “con elevata probabilità” nella mattinata del 14 dicembre 2021, giorno stesso della sua scomparsa. Il decesso sarebbe avvenuto entro quattro ore dalla colazione, consumata intorno alle 8-8.30 del mattino. Alle 8.50, la donna veniva ripresa dalle telecamere di un autobus mentre attraversava piazzale Gioberti, vicino alla sua abitazione. Dopo quel momento, di lei si perse ogni traccia, fino al macabro ritrovamento 22 giorni dopo, il 5 gennaio 2022.

Il corpo era stato rinchiuso in due sacchi neri per rifiuti, uno infilato dall’alto e uno dal basso, e la testa era avvolta in due sacchetti alimentari chiusi con un laccetto attorno al collo. I periti hanno parlato di una morte violenta, escludendo categoricamente qualsiasi compatibilità con un gesto autolesionista. “Liliana non si è suicidata, ha lottato con l’assassino”, ha scritto il cronista Giampaolo Visetti, dando voce alle conclusioni della relazione tecnica. Una frase che oggi risuona come un sigillo di verità.

L’accusa del fratello e la riapertura delle indagini

A spingere ulteriormente l’inchiesta verso l’ipotesi dell’omicidio è stato Sergio Resinovich, fratello della vittima. Dopo aver più volte chiesto giustizia per la sorella, nei giorni successivi alla diffusione della perizia ha rilanciato pubblicamente le sue accuse. In particolare, ha puntato il dito contro Sebastiano Visintin e il suo entourage familiare, parlando esplicitamente di “femminicidio a sfondo economico”, mosso anche da un desiderio di controllo. Nelle sue dichiarazioni, ha incluso anche il figlio di Visintin, la moglie e la loro cerchia di amici, delineando un quadro complesso e potenzialmente indiziario.

Un dettaglio, in particolare, ha attirato l’attenzione: secondo Sergio Resinovich, solo il marito avrebbe avuto interesse a far ritrovare il corpo, in quanto ciò gli avrebbe permesso di accedere all’eredità e alla reversibilità della pensione. Un’ipotesi che, finora, nessuna indagine aveva preso ufficialmente in carico.

Eppure, già due anni fa, Sergio aveva depositato un esposto in Procura con contenuti simili. Ma a lungo, la linea investigativa aveva oscillato tra l’ipotesi dell’allontanamento volontario e quella del suicidio, fino alla richiesta di archiviazione dell’indagine da parte della stessa Procura, rigettata però con forza dal GIP del Tribunale di Trieste, Luigi Dainotti. È stato proprio il giudice per le indagini preliminari a disporre nuove indagini, chiedendo che si procedesse per omicidio.

Le ombre sugli inizi delle indagini

Il caso Resinovich, sin dalle prime settimane, è stato oggetto di critiche sull’operato investigativo. Alcuni osservatori, tra cui l’amico di Liliana Claudio Sterpin, hanno parlato apertamente di “errori incredibili” commessi nelle prime fasi dell’inchiesta dalla Procura di Trieste. Dall’eccessiva rapidità con cui si era abbracciata l’ipotesi del suicidio, alla gestione della scena del ritrovamento del corpo, fino alla mancanza di una tempestiva perizia autoptica, ogni passaggio è stato scandagliato con crescente diffidenza dall’opinione pubblica e dai media.

Ora, però, con la nuova perizia agli atti e l’iscrizione nel registro degli indagati di Visintin, la vicenda giudiziaria potrebbe imboccare un sentiero più definito, verso un processo che cerchi di chiarire, finalmente, chi ha ucciso Liliana Resinovich e perché.

Un processo atteso, un’opinione pubblica divisa

Il clamore mediatico e il coinvolgimento emotivo hanno reso il caso uno dei più seguiti e discussi degli ultimi anni in Italia. Le apparizioni televisive, le interviste, le ipotesi spesso discordanti tra esperti, cronisti e familiari hanno contribuito a creare una narrazione sfaccettata, dove la verità giudiziaria rischiava di essere oscurata da una sovraesposizione mediatica. Oggi, però, la magistratura sembra voler riprendere in mano con decisione le redini del caso.

Con la nuova fase dell’inchiesta, resta da capire quali ulteriori elementi emergeranno dalle indagini e se verranno individuati altri eventuali coinvolti, come ipotizzato da Sergio Resinovich. Ma una certezza si fa strada: Liliana non è morta da sola, e la sua morte merita verità e giustizia.

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Ultimo Aggiornamento: 12/04/2025 09:25

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