
Era una mattina gelida del 2 gennaio quando una parrocchia si è svegliata con una notizia che nessuno avrebbe mai voluto sentire: un neonato di appena un mese, trovato morto nella culla termica della chiesa. Il suo nome era Angelo, ma il destino di questo piccolo bambino, che non ha mai avuto la possibilità di vivere la sua vita, è stato segnato da una tragica sequenza di eventi.

Un neonato abbandonato, ma ancora vivo
Le indagini si sono subito concentrate su una domanda fondamentale: Angelo era vivo quando è stato abbandonato nella culla? E la risposta è arrivata, con una conferma che ha sconvolto tutti: il piccolo era vivo al momento dell’abbandono. A rivelarlo è stata la perizia, commissionata dalla Procura, che ha analizzato ogni dettaglio con meticolosità. Un piccolo dettaglio, forse insignificante per qualcuno, ha dato la chiave di lettura della tragedia: il liquido trovato sul tappetino termico della culla era urina, e apparteneva ad Angelo.
Un bambino che urina, che è vivo, che è stato lasciato da solo in una culla, senza la protezione di una mano amorevole. Ed è proprio il freddo, quella fredda aria che aleggiava nella stanza a causa di un malfunzionamento dell’impianto, che avrebbe messo fine alla sua vita. Il decesso, come confermato dalle analisi, è stato causato da ipotermia, una condizione che ha stroncato la vita di Angelo in poche ore, proprio dopo essere stato lasciato lì, solo e vulnerabile.

L’inchiesta che scuote Bari
Le indagini hanno preso pieghe inaspettate. Non è solo il cuore spezzato della comunità di San Giovanni Battista a Poggiofranco, a Bari, che si trova ad affrontare una tragedia inspiegabile, ma anche la responsabilità di chi, in qualche modo, aveva il compito di garantire la sicurezza del piccolo. Due fascicoli sono stati aperti dalla Procura di Bari: uno per abbandono di minore con conseguente morte, l’altro per omicidio colposo. Tra gli indagati c’è don Antonio, il parroco che, nel 2014, aveva deciso di installare la culla termica, e Vincenzo Nanocchio, il tecnico che si era occupato della manutenzione dell’impianto proprio nei giorni precedenti alla tragedia.
Una scoperta inquietante ha gettato un’ulteriore ombra su questa vicenda: una perdita nel condizionatore, che avrebbe provocato un flusso di aria fredda nella stanza, contribuendo a rendere la culla termica un luogo che avrebbe dovuto proteggere il neonato ma che, invece, lo ha condannato.
Il funerale e il rispetto per la tragedia
Il 18 gennaio, la chiesa del cimitero di Bari ha accolto i cittadini per l’ultimo saluto al piccolo Angelo. Ma non è stata una cerimonia come le altre. L’arcivescovo Giuseppe Satriano ha voluto che la messa fosse un momento di raccoglimento e non un’occasione per una “parata”. Con il cuore pesante, ha chiesto a tutti di non partecipare in massa, per evitare che la morte del bambino diventasse uno spettacolo.
“Queste cose non devono diventare spettacolo,” ha detto, un invito a rispettare il dolore e la memoria del piccolo Angelo senza alimentare la curiosità o il sensazionalismo. La tragedia di un neonato innocente, che non ha avuto neppure il tempo di imparare a sorridere, ha toccato profondamente la comunità, ma ha anche sollevato questioni urgenti su sicurezza, responsabilità e l’incapacità di proteggere i più deboli.
Un destino spezzato in un istante
Angelo non ha avuto la possibilità di fare le prime esperienze di vita, di conoscere il calore di una carezza. Il suo destino, segnato dalla fragilità della sua vita neonatale, è stato spezzato da un freddo che non avrebbe mai dovuto colpirlo. La sua morte ha scosso Bari, ha acceso un faro su una serie di responsabilità che vanno oltre la tragedia stessa. E, mentre la giustizia seguirà il suo corso, rimarrà il vuoto incolmabile per una vita che non è mai iniziata.