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“Il vero nemico non è l’Ucraina, è il tempo”: le clamorose rivelazioni dell’amico di Putin

Pubblicato: 14/04/2025 17:38

Aleksej Venediktov, fondatore della storica radio Eco di Mosca e ancora oggi uomo ben inserito nei palazzi russi nonostante sia stato etichettato come “agente straniero”, offre una chiave inquietante per leggere le scelte strategiche di Vladimir Putin: il tempo.

“Capisce che il tempo che gli rimane da vivere è limitato”, dice, “e si sente in ritardo sulla sua tabella di marcia”. Da qui l’escalation militare, i raid più cruenti, il rifiuto di trattative reali: non si tratta più solo di ambizioni territoriali, ma di urgenza personale e politica.

Trump è diventato un problema per la Russia

Putin ha settant’anni, è teoricamente blindato al potere fino al 2036, ma la sua ossessione – spiega Venediktov – è lasciare un’impronta “imperiale”, ridare alla Russia una centralità da superpotenza. E se deve forzare la mano, lo farà. Anche perché, paradossalmente, Donald Trump è diventato un problema. Nonostante le simpatie passate, il Cremlino oggi lo considera un interlocutore instabile, imprevedibile. Uno che ha dato armi all’Ucraina, bloccato il Nord Stream, sospeso e poi riattivato gli aiuti. Uno che “può togliere tutto o niente, e nessuno lo sa”.

Nel calcolo russo, il candidato ideale alla Casa Bianca non era né Trump né Kamala Harris, ma – dice Venediktov – “il signor Caos”: una figura debole, con un Congresso in bilico e una politica estera paralizzata. Invece c’è Trump, e Trump – pur volendo apparire “filorusso” – è un rebus. Per questo, anche gli attuali colloqui indiretti Usa-Russia non entusiasmano Mosca. “Putin lo considera una variabile inattesa”, spiega l’ex direttore di Eco di Mosca, “e non vuole che la fine della guerra sia dettata da un presidente lunatico”.

L’Ucraina come una nuova Cipro

Secondo Venediktov, ciò a cui si va incontro è una partizione silenziosa, una “Cipro del Nord” nel cuore d’Europa. Nessun trattato, nessuna pace, solo una linea congelata. Una “strategia americana”, dice, già usata altrove: congelare, mai risolvere. Il Donbass è un problema umanitario prima ancora che politico: cinque milioni di persone senza status chiaro, tra Russia, Ucraina e terra di nessuno. E nessuno, né Kiev né Mosca, sembra disposto ad assumersene la responsabilità.

Zelensky bloccato dal suo stesso popolo

Se Putin è ostaggio delle sue ambizioni, Zelensky è ostaggio del suo popolo. In Russia l’opinione pubblica è un’illusione costruita dal potere. In Ucraina è un fattore reale. “Quando gli amici di Kiev chiedevano a Zelensky di proclamare un’amnistia per chi è rimasto nei territori occupati”, racconta Venediktov, “lui rispondeva che il resto del Paese non l’avrebbe capito”. E i sondaggi confermano: la popolazione ucraina non vuole compromessi, non vuole accordi con “il Cremlino sanguinario”. Per questo la pace vera è lontana.

Il vero punto, secondo Venediktov, è che Putin non vuole la pace. E forse nemmeno Zelensky. Il primo non ha raggiunto gli obiettivi. Il secondo non può accettare concessioni. Ma soprattutto, Mosca continua a premere per trattare solo con Washington. “L’Europa non conta più nulla”, dice Venediktov. “Putin ai suoi chiede: chi è il presidente dell’Europa? Cosa decide? Lui ragiona solo in termini di potere, e per lui il potere è unitario, monolitico, come ai tempi dell’Urss”.

Nel frattempo, i morti si accumulano, come a Sumy, dove l’ennesimo raid ha ucciso civili ucraini e il fatto è stato liquidato dai media russi come “un colpo a un raduno di militari”. La realtà, ancora una volta, è più torbida. E più urgente. Come il tempo che Putin sente di non avere.

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Ultimo Aggiornamento: 14/04/2025 18:49

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