
È stato concepito come un hotel di lusso, poi si è trasformato in qualcosa di molto più complesso e, per molti versi, disturbante. Il Regent International Apartment Complex non è solo un edificio: è una città verticale che ospita oltre 20.000 persone. Si trova a Hangzhou, in Cina, nella Qianjiang Century City. Dentro c’è tutto: scuole, supermercati, palestre, ristoranti, ospedali, perfino piscine. Nessuno, teoricamente, ha più bisogno di uscire.
Un’isola urbana spaventosa e incombente, enorme e claustrofobica. Un esperimento di autosufficienza architettonica che se da un lato garantisce comodità e sicurezza, dall’altro solleva interrogativi profondi su libertà, isolamento e identità collettiva.
Vivere senza uscire: la comodità che diventa prigione
Il Regent International si estende per 260.000 metri quadrati, ha 39 piani e 5.000 appartamenti, collegati da una fitta rete di corridoi, balconi, finestre. Ai piani bassi le attività commerciali, in alto le abitazioni. Il palazzo, disegnato dall’architetta Alicia Loo, è un organismo chiuso dove tutto è già previsto, organizzato, funzionante. E terrificante come un film di fantascienza distopico.
I prezzi mostrano una gerarchia verticale: chi può permettersi appartamenti ai piani alti gode di più spazio, balconi, servizi esclusivi. Chi vive nei monolocali dei livelli inferiori abita invece spazi angusti, a volte privi di finestre, pagando meno di 200 euro al mese. È un modello sociale compresso in verticale, dove le disuguaglianze si misurano in metri di altezza.

Quando il futuro somiglia a un allevamento intensivo umano
Da fuori sembra un incubo distopico costruito da un’intelligenza artificiale programmata male, invece è tutto reale. I video virali girati con i droni hanno mostrato al mondo un edificio che somiglia a una struttura carceraria di lusso. E la domanda sociologica s’impone: cosa a un essere umano compresso e isolato dentro un edificio? Cero, c’è tutto. Tranne la libertà. Somiglia tanto a un allevamento intensivo umano.
L’autonomia totale riduce il contatto con l’esterno quasi a zero, annulla l’imprevisto, il confronto, la diversità. Il risultato è un habitat sociale iper-centralizzato, dove il rischio maggiore non è la noia, ma l’omologazione, l’atrofizzazione dei legami esterni e un progressivo isolamento psichico. La vita nel Regent International potrebbe generare una forma sottile ma pervasiva di alienazione, una gabbia dorata in cui la libertà è sostituita dalla pianificazione.
Il microcosmo e le sue disuguaglianze
In sociologia urbana, si parla da tempo di “non-luoghi”: spazi neutri, funzionali, anonimi. Ma qui siamo oltre. Il Regent è un macro-luogo totalizzante, dove ogni dimensione dell’esistenza è contenuta, delimitata, gestita. E questo non solo plasma gli individui, ma produce nuove disuguaglianze interne: economiche, sociali, spaziali.
Chi vive più in alto non solo paga di più, ma partecipa a una forma diversa di cittadinanza, più agiata, più protetta, più privilegiata. Il rischio è la nascita di una società verticale perfettamente segregata, con élite e periferie che si sommano, si appoggiano l’una sull’altra, distribuite su un Moloch di cemento e acciaio. Dove l’uomo non è più uomo, sperduto in un gigantesco formicaio. Se questo è il futuro…