
Prosegue a Genova il processo che riapre una ferita mai rimarginata: l’omicidio della giovane segretaria Nada Cella, avvenuto nel 1996. A finire sotto accusa è Anna Lucia Cecere, sospettata numero uno dell’inquietante vicenda. In aula, negli ultimi giorni, sono emerse testimonianze forti e personali, capaci di gettare una nuova luce sul passato dell’imputata e sul suo carattere.
A parlare è stato Maurizio, fratello minore della donna finita sul banco degli imputati, che ha raccontato ai giudici e alla platea in silenzio una storia familiare segnata dalla violenza domestica. “Avevamo un padre alcolizzato, che una volta arrivò persino a incendiare casa con noi dentro”, ha ricordato con voce ferma. E su sua sorella: “Era la più grande, si occupava di me, ma aveva un carattere difficile. Irascibile, non tollerava di essere contraddetta. Alla fine ho scelto di tagliare i ponti”. Poi, fuori dall’aula, ha ammesso ai giornalisti: “Penso che possa aver ucciso. Ma è solo una mia sensazione”.
Durante la stessa udienza, ha preso la parola anche un perito, Stefano Cannara, esperto in bottoni, che ha confermato la compatibilità tra un bottone ritrovato sul luogo del delitto e alcuni sequestrati a Cecere nel lontano 1996. Un elemento che, secondo la procura, sarebbe una prova cruciale per ricondurre il delitto all’imputata.

A offrire un’altra prospettiva sulla personalità di Anna Lucia Cecere è stato Adelmo Roda, suo ex fidanzato. “Era gelosa e possessiva”, ha raccontato, ripercorrendo la loro relazione nata nella seconda metà degli anni ’90. “Litigavamo spesso, era un carattere difficile. Una volta mi cacciò di casa e scrisse insulti su di me sui muri”. Il rapporto si spezzò definitivamente quando la madre di Roda scoprì che Cecere aveva un figlio nato da una precedente relazione.
Tra i dettagli più rilevanti forniti da Roda, la vicenda dei bottoni: “Le piacevano quelli di una mia giacca da pesca, li staccò lei stessa nell’estate del ’95”. Uno di quei bottoni, secondo l’accusa, sarebbe quello ritrovato sotto il corpo di Nada. “Nel 2021 mi cercò ancora, voleva convincermi che stavamo ancora insieme nel ’96. Ma quando l’ho messa con le spalle al muro, ha smesso di contattarmi”.
Un processo che si arricchisce di elementi, mentre resta aperta la domanda più importante: chi ha ucciso Nada Cella?