
Era caduta in un dirupo, tra i sassi e la vegetazione, con la caviglia fratturata e il corpo ferito, ma ancora viva. Marta Maria Ohryzko, 32 anni, non è morta per quell’incidente. È morta perché l’uomo che avrebbe dovuto salvarla ha scelto invece di toglierle la vita. Un pugno nell’occhio. Poi una mano che le copre il naso e la bocca. Il silenzio definitivo. Così, secondo gli inquirenti, si è consumato il suo femminicidio.
Era il 13 luglio 2024, in località Vatoliere, a Ischia. Un luogo che per molti è sinonimo di vacanza, mare, relax. Per Marta è stato il teatro di una morte atroce. Le prime ricostruzioni avevano parlato di un incidente: la caduta, la frattura, la notte passata da sola. Ma i carabinieri non si sono fermati alla superficie. Dietro quella scena c’era qualcosa che non tornava. Troppe contraddizioni, troppe omissioni. E una relazione tormentata, piena di ombre.
Ilia Batrakov, 41 anni, il compagno, era già detenuto da mesi. Ora è accusato di omicidio volontario pluriaggravato. Le aggravanti pesano come macigni: avrebbe agito con crudeltà, per futili motivi, approfittando della condizione di vulnerabilità in cui Marta si trovava. Lei era lì, ferita, implorante. E lui no, non ha chiamato i soccorsi. Non l’ha abbracciata, non le ha detto che sarebbe andato tutto bene. È sceso nel dirupo e ha portato a termine il suo gesto.
Marta lo aveva cercato. Gli aveva scritto, gli aveva chiesto aiuto. Forse sperava ancora che qualcosa in quell’uomo potesse cambiare. Forse credeva che l’amore potesse essere più forte della violenza. O forse non aveva via di fuga. Quella notte, però, la speranza si è infranta contro il gesto estremo di chi sceglie di annientare, di ridurre al silenzio ciò che non riesce a controllare.
Gli investigatori hanno impiegato mesi per ricostruire la verità. È emersa una storia fatta di maltrattamenti, aggressioni, umiliazioni. Non un episodio isolato, ma una spirale. Marta ne era prigioniera. E forse pensava che uscirne fosse impossibile. O che fosse colpa sua. Come troppe donne. Come troppe storie che finiscono così.
Oggi il nome di Marta si aggiunge a una lista che sembra non finire mai. Ma non è solo un numero. È una donna che ha lottato, che ha avuto paura, che ha cercato aiuto. E che è stata lasciata sola.