
Dopo quasi due anni e mezzo, si attende oggi la sentenza su uno dei fatti di sangue più sconvolgenti degli ultimi tempi. Al centro del procedimento c’è Claudio Campiti, accusato di aver ucciso quattro donne e di averne ferite altre quattro in un attacco mirato, organizzato e brutale. L’uomo rischia la pena dell’ergastolo, mentre la vicenda si avvia alla sua conclusione processuale, lasciando però ancora molte ferite aperte.
Le vittime di quell’attacco sono Nicoletta Golisano – legata da un rapporto di amicizia alla premier Giorgia Meloni – Elisabetta Silenzi, Sabina Sperandio e Fabiana De Angelis. I familiari, le comunità coinvolte e l’opinione pubblica chiedono giustizia per quelle vite spezzate. In particolare, il marito di una delle donne ha espresso il proprio dolore in aula, affermando: “Mia moglie è stata uccisa insieme ad altre tre donne. Lo Stato ha calpestato il nostro dolore”.
La tragedia si è consumata l’11 dicembre 2022 durante una riunione condominiale. Secondo le ricostruzioni dell’accusa, Campiti avrebbe pianificato tutto nei minimi dettagli: dalla scelta del luogo, alla fuga, fino all’armamento. Nella sua mente, il consorzio residenziale dove abitava rappresentava una minaccia da eliminare. Quella riunione, dunque, era il contesto perfetto per colpire.

L’arma utilizzata era stata sottratta poco prima dal poligono di tiro, una Glock 41 calibro .45. Con lui aveva anche un caricatore aggiuntivo da 13 colpi, 155 cartucce, un coltello a serramanico e un pugnale da sub. Elementi, secondo il pubblico ministero Giovanni Musarò, che indicano chiaramente un piano omicida “organizzato nei dettagli”. “Aveva ritirato un’arma che sapeva usare bene”, si legge nei documenti dell’indagine. Il progetto di Campiti includeva anche una possibile fuga all’estero, poi mai messa in atto.
Dal canto suo, la difesa ha chiesto l’assoluzione facendo leva su un presunto “disturbo delirante di tipo persecutorio”che avrebbe compromesso la capacità dell’imputato di intendere e volere. Una tesi che punta all’assoluzione per vizio totale di mente.
Ma il processo coinvolge anche altre figure. Oltre a Campiti, sono imputati due dipendenti del poligono da cui è stata sottratta l’arma: Bruno Ardovini, ex presidente della Sezione Tiro a Segno di Roma, e Giovanni Maturo, dipendente dell’armeria. La procura ha richiesto rispettivamente 4 anni e 1 mese per Ardovini e 2 anni per Maturo, per omissioni gravi nella gestione della sicurezza.
Durante il dibattimento è emersa un’allarmante serie di negligenze: dieci mesi prima del massacro, la polizia aveva segnalato falle nel sistema di sicurezza del poligono, ma nessuno era intervenuto. Come ricordato anche in aula, non era la prima volta che si verificavano episodi inquietanti: un socio si era suicidato nei bagni e un’altra arma era stata rubata per una rapina.
Oggi si attende non solo una condanna, ma una risposta giudiziaria su tutte le responsabilità che hanno reso possibile una delle tragedie più assurde e devastanti degli ultimi anni.