
È uscita in silenzio, da una porta secondaria della Procura di Trieste, evitando microfoni, telecamere e taccuini. Nessuna dichiarazione ufficiale, nessuna indiscrezione sui contenuti dell’incontro. Ma un dettaglio è certo: Jasmina Zivkovic, albergatrice di Gorizia e amica di Liliana Resinovich e del marito Sebastiano Visentin, è stata ascoltata dai magistrati per oltre tre ore e mezza in qualità di persona informata sui fatti. Il suo nome era già emerso nei mesi scorsi e ora la sua testimonianza potrebbe essere un tassello chiave nella nuova inchiesta sulla morte di Liliana, il cui corpo fu ritrovato il 5 gennaio 2022 in un’area verde poco lontana dalla sua abitazione.
Zivkovic conosceva bene entrambi. Lilly e Sebastiano erano clienti abituali del suo piccolo hotel, e con loro c’era anche un rapporto personale, non solo professionale. Un anno e mezzo fa, l’albergatrice aveva preso contatto con Sergio Resinovich, fratello della vittima, raccontandogli una versione dei fatti molto distante da quella sostenuta dal marito davanti alle telecamere. Visentin ha sempre dichiarato che tra lui e la moglie non ci fossero tensioni, ma secondo l’amica era tutto il contrario: «Litigavano spesso, non lo sopportava più». Liliana, secondo quanto riferito da Zivkovic, le avrebbe chiesto addirittura di prepararle due letti separati, proprio per evitare di dormire accanto a lui.

Ma ci sarebbe anche un elemento ancora più inquietante. Nei giorni successivi alla scomparsa di Liliana, avvenuta il 14 dicembre 2021, in un momento di confidenza, Sebastiano avrebbe sussurrato all’amica che “è stato un incidente”, salvo poi ritrattare subito dopo: «Sono fuori di testa, non so più quello che dico». Parole che, alla luce dell’indagine riaperta e del fatto che Visentin è ora indagato per omicidio, assumono un peso diverso rispetto al passato.
Zivkovic ha anche riferito di aver assistito, nell’estate del 2021, a un episodio di tensione tra i due: una lite accesa, nata appena arrivati in hotel. Secondo il suo racconto, Sebastiano era furioso, lanciò uno zaino contro la moglie e le ordinò di portare tutto in camera. «Lei si è piegata a raccogliere le borse, con le lacrime agli occhi, ma non ha pianto. Era un momento molto brutto», ha detto ai magistrati. Un gesto che per Zivkovic fu un campanello d’allarme.
Infine, il giorno del ritrovamento del cadavere, l’albergatrice si mise in contatto con Visentin. «Gli chiesi se poteva esserci stata un’aggressione, ma lui negò, dicendo che Liliana non aveva nulla con sé». Quella telefonata, quel tono nervoso, quelle frasi sfuggite e poi ritrattate: sono ora parte del nuovo fascicolo aperto dalla Procura, che dopo aver respinto la tesi iniziale del suicidio, indaga ora per omicidio. E ogni dettaglio potrebbe rivelarsi decisivo.