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Il “piano diabolico” di Trump: ecco perché abbraccia la Meloni, niente di buono

Pubblicato: 18/04/2025 20:03

Dietro la patina delle parole diplomatiche – reciprocità, cooperazione, alleanza rafforzata – si staglia un cambio di rotta tutt’altro che marginale. Il documento congiunto firmato da Giorgia Meloni e Donald Trump non è solo una dichiarazione di intenti, ma la sintesi politica di una decisione strategica: l’Italia si posiziona come interlocutore privilegiato degli Stati Uniti nella regione euro-mediterranea.

Una mossa che rompe l’equilibrio tradizionale tra Bruxelles e Washington, spingendo Roma su un terreno autonomo e potenzialmente divisivo all’interno dell’Unione Europea. Come rivela il Giornale d’Italia, sarebbe proprio questo il piano di Trump: usare l’asse con l’Italia per spaccare l’Europa. E Meloni sembra aver scelto da che parte stare: con l’America.

Trump trova il suo referente nel Vecchio Continente

Secondo fonti diplomatiche, il documento sigilla l’allineamento pieno dell’Italia alle priorità strategiche statunitensi. Il messaggio non è nascosto: Trump ha scelto Meloni, e Meloni ha scelto Trump. È una scommessa che va oltre i governi in carica. Si struttura come un patto personale e politico, non solo istituzionale.

Nell’accordo si leggono adesioni significative da parte dell’Italia a iniziative che fanno parte dell’agenda dell’amministrazione americana: il rifiuto della web tax, il via libera alle tecnologie americane per le infrastrutture critiche, la promozione degli Accordi di Abramo come cornice per il Medio Oriente. Linee in netto contrasto con l’attuale orientamento di molte capitali europee.

L’Italia come Cavallo di Troia?

Il documento sembra una prova generale per la creazione di un nuovo asse geopolitico. L’Italia – un tempo garante dell’europeismo atlantista – accetta di svolgere un ruolo di cerniera tra l’America trumpiana e il Mediterraneo. Una scommessa che potrebbe richiedere qualche sacrificio non indifferente.

In assenza di riferimenti espliciti all’Unione Europea, salvo un vago accenno a un futuro summit, il messaggio è chiaro: Trump non tratta con Bruxelles, ma preferisce relazioni bilaterali con governi ritenuti “amici”. Una logica che punta a disarticolare il fronte europeo, privilegiando intese dirette e personalizzate.

Frizioni (non dichiarate) con i partner europei

La reazione delle istituzioni comunitarie è stata silenziosa, ma la tensione è evidente. Secondo fonti interne alla Commissione, il clima è di “cauta preoccupazione”. Il timore, nemmeno troppo velato, è che Roma stia scivolando verso una posizione defilata, in parte smarcata dal resto dell’Unione (o dalla sua maggioranza attuale=.

Francia e Germania osservano, in questo senso, con crescente freddezza: l’Italia viene percepita sempre più come una variabile indipendente nel cuore della macchina europea. Peraltro, di fronte alla debolezza e alle divisioni interne dell’Unione, la mossa di Meloni potrebbe non essere nemmeno troppo azzardata.

L’Italia è fortemente contraria a politiche penalizzanti come il Green Deal che è l’ossessione della Von der Leyen. Ci sono dei rischi nello scegliere Trump, ma anche delle opportunità. E in un mondo in rapidissimo cambiamento, nessuno può essere sicuro se siano maggiori gli uni o le altre.

Un investimento politico (e personale)

Per Giorgia Meloni, l’intesa con Trump rappresenta anche un calcolo interno. Dopo mesi di rincorsa, ha ottenuto la promessa di una visita in Italia, e ha occupato un ruolo di centralità internazionale. Ma gli accordi stipulati pongono interrogativi non secondari: l’apertura a Starlink, l’impegno a comprare gas americano, la rinuncia alla fiscalità digitale autonoma.

Una fonte governativa parla, off the record, di “sicurezza appaltata”. Un’affermazione pesante, che tocca la questione della sovranità tecnologica e militare, già delicata nell’attuale contesto internazionale.

Equilibri futuri e rischi calcolati

Resta ora da capire se questa scommessa sarà vincente. Trump ha più volte espresso l’intenzione di ridimensionare la Nato, aumentando la pressione sugli alleati perché spendano di più. L’Italia – storicamente al di sotto del tetto del 2% del PIL – rischia di trovarsi sotto osservazione.

Meloni sa che l’Italia è Paese fondatore dell’Unione Europea, e il suo margine di manovra resta, in ultima istanza, legato agli equilibri comunitari. Almeno per ora. Spingersi troppo oltre l’Atlantico potrebbe indebolire la posizioni del Paese a Bruxelles. Ma forse la nostra Premier gioca sui due tavoli proprio perché è convinta che con questa Bruxelles non si va lontano. Il tempo dirà se è una scommessa giusta.

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Ultimo Aggiornamento: 18/04/2025 20:04

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