
Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump abbandonerà il tentativo di mediare un accordo di pace tra Russia e Ucraina entro pochi giorni, a meno che non ci siano chiari segnali che un accordo possa essere raggiunto, ha dichiarato venerdì il Segretario di Stato americano Marco Rubio. Lo riporta l’agenzia di stampa Reuters.
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Le parole di Marco Rubio spaventano l’Occidente
Le parole pronunciate da Marco Rubio, segretario di Stato degli Stati Uniti, durante il vertice parigino promosso da Emmanuel Macron segnano una cesura netta: la pazienza americana è finita. “Serve una decisione rapida sulla pace in Ucraina”, ha dichiarato Rubio ai giornalisti, aggiungendo senza mezzi termini che, in assenza di segnali concreti, gli Stati Uniti sono pronti a voltare pagina. “Non è la nostra guerra. Non l’abbiamo iniziata noi”, ha ribadito, incarnando perfettamente il nuovo spirito pragmatico e selettivo che anima la politica estera americana sotto la seconda presidenza Trump.
Una dottrina chiara: impegno condizionato
Dietro il pressing diplomatico lanciato dalla Casa Bianca si intravede un cambiamento strutturale nella strategia globale statunitense: la priorità non è più la solidarietà internazionale, ma il ritorno strategico. La dottrina è quella del “disimpegno selettivo”: si sostiene solo ciò che è utile e conveniente. E se Kiev e Mosca non dimostrano segnali tangibili di voler trattare, Washington potrebbe ritirarsi dal tavolo negoziale, lasciando il conflitto al suo destino.
Rubio ha spiegato che Trump ha già speso 87 giorni di consultazioni ad alto livello cercando uno sbocco negoziale. Ma ora il tempo è finito. “Entro pochi giorni sapremo se c’è spazio per la pace. In caso contrario, ci dedicheremo ad altre priorità”, ha affermato.
Kiev preoccupata, l’Europa in affanno
Il messaggio, per quanto asciutto, è devastante nei suoi effetti geopolitici. Per l’Ucraina significa rischiare un isolamento letale, proprio nel momento in cui l’offensiva militare ristagna e le risorse si assottigliano. La fine dell’impegno statunitense potrebbe trasformarsi in una crisi esistenziale per il governo di Zelensky, che finora ha potuto contare su un supporto militare e logistico determinante da parte americana.

Anche l’Europa esce indebolita. Senza l’ombrello strategico americano, Bruxelles si troverebbe ad affrontare una guerra ai propri confini senza un comando unitario, né una forza militare autonoma sufficiente a bilanciare la pressione russa. L’eventuale abbandono degli Usa rimetterebbe in discussione l’intera architettura di sicurezza del continente, e con essa l’idea stessa di una solidarietà atlantica.
“America First”, anche in politica estera
Il ritorno della visione trumpiana sulla scena internazionale è evidente: l’America viene prima, sempre. Anche nelle crisi globali, la priorità è interna, economica, nazionale. Rubio ha parlato di una “nuova dottrina di priorità”, in cui la guerra in Ucraina non ha più centralità se non produce risultati misurabili.
A farne le spese è anche l’idea stessa di ordine globale multilaterale, costruita dal secondo dopoguerra in poi sotto la guida americana. Un ordine che rischia oggi di sgretolarsi sotto i colpi di una politica estera diventata transazionale, più simile a un bilancio aziendale che a una visione strategica.
Ultimatum o rottura?
Il discorso di Rubio lascia spazio a un’unica interpretazione: o arrivano risultati rapidi, o gli Stati Uniti si ritirano. “Smetteremo di cercare di mediare un accordo di pace entro pochi giorni”, ha dichiarato. Non si tratta più di un’ipotesi remota. È una linea rossa tracciata con fermezza, che può determinare una svolta nel conflitto o la sua ulteriore degenerazione.

In gioco, oggi, non c’è solo il futuro dell’Ucraina, ma la credibilità dell’Occidente nel suo complesso. E soprattutto la capacità dell’Europa di agire come attore autonomo e non come spettatore della geopolitica altrui. Una sfida che, senza gli Stati Uniti, si fa improvvisamente reale. E terribilmente urgente.