
A volte bussare non basta. Specie se lo fai alla porta di Casa Santa Marta, con l’aria di chi pensa che basti dire “sono il vicepresidente degli Stati Uniti” per farsi aprire. E invece no. Perché Papa Francesco non solo non l’ha ricevuto: gli ha proprio sbattuto la porta in faccia, con tutta la grazia e l’autorità di chi può permettersi di dire no anche a Washington.
J.D. Vance era arrivato a Roma bello impettito, pronto a immortalarsi in uno scatto con il Pontefice da rilanciare sui social come simbolo di dialogo, fede e magari persino umiltà. Ma ha trovato solo un portone chiuso e la voce del cerimoniere che gli diceva: “Il Santo Padre non la riceverà”. Altro che udienza: il Papa ha fatto ghosting diplomatico. E non per un capriccio. Al contrario, si è trattato di un gesto chiaro e silenziosamente rumoroso.
Le giustificazioni ufficiali sono note: Francesco è stanco, convalescente, acciaccato, e in questo periodo riceve solo l’essenziale. Ma allora come mai, pochi giorni prima, ha trovato il tempo e l’energia per ricevere Re Carlo III e la Regina Camilla? Venticinque minuti di chiacchiere, doni, saluti cordiali, persino qualche risata. Altro che riposo: sembrava quasi una colazione da re (letteralmente).

Per Vance, invece, solo un ripiego: il Cardinale Parolin, che lo ha accolto con cortesia, ma anche con quel tono da professore paziente che spiega per l’ennesima volta che espellere disperati e tagliare fondi umanitari non è proprio in linea con il messaggio evangelico. Il tutto condito da silenzi eloquenti e sguardi che dicevano: “Guardi, forse era meglio se veniva con un po’ meno spocchia e un po’ più di Vangelo”.
Alla fine il vicepresidente è ripartito senza benedizione, senza selfie e — presumibilmente — anche con qualche domanda in più. Perché in Vaticano, si sa, non sempre chi bussa trova aperto. E soprattutto, non basta bussare forte. Serve bussare bene.