
Era un pomeriggio qualunque, di quelli che passano lenti nei piccoli centri della Sicilia occidentale. A Castelvetrano, in provincia di Trapani, il sole filtrava tra i rami, le finestre erano aperte e l’aria odorava di terra e di glicine. Il bambino, sei anni e mezzo appena compiuti, si trovava nel cortile della casa della nonna. Una di quelle case con i muri spessi e i portoni alti, che conservano i rumori dentro e fuori lasciano solo silenzi.
Stava giocando, come fanno tutti i bambini, seguendo traiettorie imprevedibili con l’energia felice di chi non ha ancora imparato la paura. Non si sa se stesse rincorrendo una palla, se stesse esplorando o semplicemente camminando. Ma in un attimo, in un gesto che non sembrava diverso da tanti altri, il suo piede ha sfiorato una lastra che copriva una cisterna sotterranea. Una copertura precaria, forse un vecchio pannello in legno o in metallo sottile, messo lì anni fa, dimenticato da tutti.

Quella lastra ha ceduto. Senza un rumore fragoroso, senza nemmeno il tempo di gridare. Il bambino è precipitato per circa cinque metri nel vuoto, inghiottito da un buco scuro. Un secondo prima era lì, nel cortile. Un secondo dopo non c’era più. La nonna, che lo osservava da una finestra al primo piano, ha sentito solo un tonfo sordo. Si è affacciata e non lo ha visto. Ha chiamato il suo nome. Una volta, due volte, dieci. Poi ha urlato.
Nel quartiere sono accorsi in tanti. I vicini, all’inizio, pensavano a un malore, a un piccolo smarrimento. Nessuno immaginava che nel cortile ci fosse una trappola. E invece, sotto ai loro occhi, c’era un pozzo. Un buco nel terreno, nascosto ma profondo, invisibile ma pericoloso. Qualcuno ha tentato di affacciarsi, di guardare giù, ma era buio. Dal fondo, nessuna voce. Solo il cuore che batteva forte, più forte.
È partita la chiamata ai soccorsi. I minuti si sono fatti lunghi, interminabili. La nonna era in ginocchio, le mani sul viso, come se potesse fermare il tempo. Qualcuno pregava. Altri cercavano con le torce, con i telefoni, con le mani. E poi, finalmente, le sirene. I vigili del fuoco sono arrivati e hanno subito compreso la gravità della situazione. Uno di loro si è assicurato con l’imbracatura, si è calato nel pozzo. Un gesto che ripetono mille volte in addestramento, ma che ogni volta è diverso, perché dentro c’è una vita.
Nel silenzio, la voce del soccorritore si è fatta strada. “Lo vedo”. Il bambino era lì, seduto, spaventato ma cosciente, senza lesioni visibili. Piangeva piano. Quando l’hanno riportato in superficie, il cortile è esploso in un applauso liberatorio. Qualcuno ha pianto, altri hanno stretto le mani dei pompieri come si fa con gli angeli. Il piccolo è stato subito affidato alle cure dei sanitari, che hanno confermato che stava bene, miracolosamente illeso.
Ora resta la domanda su come sia stato possibile. Come possa esserci una cisterna non protetta in un cortile frequentato dai bambini. Le forze dell’ordine stanno valutando eventuali responsabilità, e l’intera comunità si interroga su una tragedia sfiorata. Ma oggi, sopra ogni cosa, resta il sollievo. Un bambino è tornato tra le braccia della nonna. E in quel cortile, per una volta, il buio ha perso.